Morto a 108 anni Boris Pahor

È morto all’età di 108 anni Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena che ha raccontato gli orrori del Novecento sulle minoranze linguistiche. Punto di riferimento per i giovani letterati sloveni, Pahor ha sempre difeso libertà e dignità dell’individuo, mettendo al centro dei suoi libri gli umiliati e gli offesi. Tra i suoi capolavori (circa una trentina), Qui è proibito parlare, Il rogo nel porto, La villa sul lago e La città nel golfo.

La vita
Boris Pahor

Boris Pahor nasce a Trieste (allora Impero austro-ungarico, oggi Italia) il 26 agosto 1913. Era figlio di Franc Pahor, fotografo alla gendarmeria di Trieste, e di Marija Ambrožič. Visse drammaticamente il trauma della negazione forzata dell’identità slovena, attuata dal regime fascista (violenze squadriste, divieto di parlare sloveno, soppressione delle scuole e delle attività culturali e ricreative). Finita la scuola media, frequentò il seminario di Capodistria, fino al 1935, e poi di Gorizia, fino al 1938, anno in cui abbandonò gli studi di teologia. Stabilì stretti rapporti con alcuni giovani intellettuali sloveni di Trieste, tra i quali il poeta Stanko Vuk e i pittori Augusto Černigoj e Lojze Spacal. Contemporaneamente, stringe un’importante amicizia anche con Edvard Kocbek, poeta sloveno e pensatore personalista. In Kocbec, Pahor riconobbe un importante ruolo di guida morale ed estetica. In questo periodo iniziò la sua attività letteraria su pubblicazioni periodiche clandestine in lingua slovena, dove ricoprì incarichi dirigenziali.

Poliglotta durante la guerra
Boris Pahor

La Seconda Guerra Mondiale segna il periodo più tragico della vita di Pahor, con la reclusione in diversi lager, situati in Francia e in Germania. Essere un poliglotta (oltre all’italiano e allo sloveno conosceva il tedesco e il francese) gli salvò la vita: venne addetto al compito d’infermiere ed evitò i lavori più pesanti, che riducevano i detenuti a larve umane. Di quei giorni terribili, trascorsi con il lezzo ripugnante della morte sempre addosso, avrebbe scritto nel suo capolavoro Necropoli (1967), definito da Claudio Magris «un’opera magistrale», composta con «limpida sapienza strutturale», per il modo in cui riferisce, «con asciutta precisione fattuale», la realtà agghiacciante dell’«abiezione storica divenuta squallore cosmico, vuoto assoluto».

Controversie

Poiché si mostrava critico verso il regime comunista di Tito, Pahor per molto tempo non fu ben visto in JugoslaviaNel 1975 aveva curato un’intervista uscita a Trieste con il grande poeta sloveno Edvard Kocbek, nella quale quest’ultimo condannava le atrocità compiute in Slovenia dai partigiani titini dopo la guerra. L’episodio aveva scatenato le ire delle autorità di Belgrado. Solo dopo la nascita della Slovenia indipendente, nel 1992, Pahor vince il premio Prešeren, il più importante riconoscimento culturale del Paese.

I riconoscimenti

Durante la vecchiaia, Pahor ha vinto diversi premi letterari. Nel 2007 ottiene la Legion d’onore, e nel 2020 il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Andrea Achille Dell'Oro

Lecco, classe '98. Provinciale all'anagrafe, cosmopolita e poliglotta per vocazione. Di formazione classica, mi laureo con lode in lingue e letterature straniere (portoghese e russo) con una tesi sul cinema sovietico. Cultore della storia contemporanea e della letteratura greca, ossessionato dalla italo-disco e dall'estetica anni '80, slavista con una predilezione per l'architettura brutalista dell'URSS. Scrivo di attualità, politica, cronaca nera, musica e moda. Sogno di diventare un giornalista televisivo.

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