Torture, abusi, stanze dedicate ai pestaggi, sacchi di sabbia per non lasciare lividi. È quanto accadeva nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano. Nella mattinata di ieri, lunedì 22 aprile, sono scattate 21 misure cautelari nei confronti degli agenti della Polizia Penitenziaria. Tredici di loro sono stati arrestati per le violenze inflitte ai ragazzi detenuti nell’Istituto Penitenziario milanese. Per altri otto, invece, il giudice per le indagini preliminari ha disposto la sospensione dai pubblici uffici.
Cosa accadeva al Beccaria?
I reati, a vario titolo contestati dalla Procura, sono maltrattamenti, concorso in tortura e una tentata violenza sessuale nei confronti di un detenuto. Il procuratore di Milano, Marcello Viola, ha parlato di una dozzina di vittime. Secondo gli inquirenti, che hanno parlato in conferenza stampa questa mattina, «i giovani venivano ammanettati durante i pestaggi». Ma l’orrore non si ferma qui: «C’era un ufficio preposto per i pestaggi in cui accadevano questi fatti».
«Ciò che ci ha colpito sin dal primo momento – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Milano Letizia Mannella – è il metodo di queste persone deviate dal sistema, che picchiavano i ragazzi in modo tale da non lasciare il segno. I ragazzi si davano pizzicotti per lasciare lividi sulle botte ricevute»: l’unico modo per avere una prova di quanto accaduto.
Don Claudio Burgio: la testimonianza del cappellano del carcere
Mentre emergono particolari raccapriccianti sulla vicenda, il personale del carcere sembra non essere a conoscenza dei fatti accaduti. «E’ un fulmine a ciel sereno – ha dichiarato Don Claudio Burgio, cappellano dell’IPM – Noi eravamo all’oscuro di tutto. Con l’arrivo del nuovo direttore Claudio Ferrari, una figura molto presente che ha rilanciato il Beccaria negli ultimi mesi, non ci aspettavamo una cosa del genere».
Secondo Don Claudio, i giovani detenuti sarebbero restii a raccontare i soprusi: «I ragazzi sono molto omertosi. Il clima intimidatorio certamente non li aiuta ad aprirsi. Purtroppo, magari perché intimiditi dalle guardie, non hanno mai parlato».
Omertà e intimidazioni
Forse però, anche in assenza di racconti espliciti delle violenze, il personale del carcere avrebbe potuto accorgersi del fenomeno sommerso che si verificava all’interno della struttura. «Alcuni avvenimenti, visti con gli occhi di oggi, vanno rivalutati – continua il cappellano – Si può avere l’impressione che certi rossori sulla faccia dei detenuti non fossero da attribuire a litigi tra ragazzi ma a episodi ben più gravi». Episodi che, ufficialmente, risalgono al 2022. Ma che Don Burgio ritiene si siano verificati in tempi ben più recenti.