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Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio i carabinieri hanno condotto una maxi operazione antimafia a Palermo che ha portato all’arresto di oltre 180 persone: fermi e misure cautelari sono stati emessi per estortori, capimafia e trafficanti. Tra loro anche Tommaso Lo Presti, al vertice del mandamento di Porta Nuova. Numeri così elevati non si vedevano dal 1984, quando il pentito Tommaso Buscetta rivelò informazioni che permisero l’arresto di 366 mafiosi e imprenditori collusi.
L’inchiesta
Il blitz di Palermo possiede un’analogia importante con uno dei più celebri arresti di mafia, quello di Matteo Messina Denaro: fu infatti il procuratore Maurizio de Lucia ad occuparsi dell’indagine che portò alla cattura del latitante e oggi proprio de Lucia ha portato i carabinieri al maxi arresto. L’inchiesta vede al centro le estorsioni a tappeto, le faccende dei clan, il traffico di droga che è tornata ad essere centrale negli affari di Cosa Nostra che si avvicina sempre di più alla ndrangheta e la nostalgia per “i mafiosi di una volta”.
I cellulari nelle carceri
L’attività investigativa della Procura di Palermo ha fatto emergere, tra le altre cose, un nuovo modo di fare mafia. Supportati dalla tecnologia i boss mafiosi riescono a gestire le attività dell’interno. Grazie ai cellullari criptati i boss possono organizzare riunioni, coordinare l’arrivo dei carichi di stupefacenti, ordinare una spedizione punitiva e magari addirittura assistervi in diretta in videochiamata. È stato però proprio grazie all’uso della tecnologia che gli inquirenti sono riusciti ad intercettare delle informazioni che sono state fondamentali per organizzare il maxi blitz. Due mafiosi infatti, essendosi accorti del malfunzionamento del dispositivo criptato che stavano utilizzando, sono passati a un altro, ma nel configurarlo, hanno per errore rivelato i nominativi dei loro interlocutori.
Le parole del procuratore
L’introduzione nelle celle delle micro-sim e dei cellulari criptati è stata portata all’attenzione degli inquirenti e denunciata pubblicamente dal procuratore generale antimafia Giovanni Melillo nella conferenza stampa che ha seguito il maxi-blitz. Secondo il procuratore addirittura, il sistema carcerario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei criminali non detenuti al 41bis, è “assoggettata al dominio della criminalità”. I magistrati continueranno a indagare sull’ingresso illecito di tecnologie nelle carceri, così come proseguiranno le inchieste riguardo le fughe di notizie che hanno fatto sapere degli arresti ad alcuni boss mafiosi che grazie a queste informazioni hanno fatto in tempo a fuggire all’estero con ingenti somme di denaro.
«La nostalgia per i mafiosi di una volta»
Le intercettazioni hanno fatto emergere anche un certo senso di delusione degli anziani boss nei confronti delle nuove generazioni, accusate di non sognare in grande e non essere abbastanza fedeli alle regole “inviolabili” di Cosa Nostra. Gli anziani predicano l’indissolubilità del legame mafioso paragonandola a quella del vincolo matrimoniale «Cosa nostra? ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita» (ovvero “Cosa Nostra? Hai sposato questa moglie e te la porti fino alla morte”), dice un “uomo d’onore”. Mentre, secondo quanto riporta il capomafia di Brancaccio, Giancarlo Romano, le giovani generazioni sarebbero troppo poco fedeli («Arrestano a uno e si fa pentito») e avrebbero obiettivi “da zingari”, perché «le persone di una volta… se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena. Tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti?».