Martina Rossi, imputati condannati ma incombe la prescrizione

«Questa sentenza finalmente ha fatto chiarezza»: sono queste le parole di Bruno Rossi dopo che la Corte d’Appello di Firenze, nel processo d’appello bis, ha condannato Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi a tre anni di reclusione per la tentata violenza sessuale nei confronti di sua figlia Martina.  I due imputati erano stati anche accusati del reato di morte come conseguenza di altro delitto, dichiarato prescritto nel primo processo d’appello.

Quella giunta il 18 aprile non è però di una sentenza definitiva: manca ancora l’ultimo grado, la Cassazione. E anche stavolta bisogna fare in fretta perché il reato rischia di prescriversi. Comunque vada, tuttavia, Albertoni e Vanneschi non sconteranno nemmeno un giorno di galera: la legge italiana non la commina per pene di tale entità.

La Corte d’Appello di Firenze
Dieci anni di processi

Quello presso la Corte d’Appello di Firenze è stato il quarto processo sin qui celebrato. La vicenda processuale di Martina, del resto, è stata lunga e tortuosa. Era il 3 agosto 2011 quando la vittima è precipitata da un balcone dell’Hotel Santa Ana di Palma di Maiorca, dove si trovava in vacanza con le amiche.

Un suicidio o una morte accidentale provocata dall’assunzione di sostanze stupefacenti (uno spinello), secondo la difesa. Un tentativo di violenza sessuale, che ha provocato l’involontario decesso della giovane, ha sostenuto invece l’accusa; ipotesi poi accolta dai giudici del Tribunale di Arezzo, che ha condannato Albertoni e Vanneschi a sei anni di reclusione per entrambi i delitti contestati.

In appello, però, è arrivata la doccia fredda per la famiglia Rossi, con la dichiarazione di estinzione per prescrizione della morte come conseguenza di altro delitto e il proscioglimento per la tentata violenza sessuale. È stata infatti ritenuta credibile la testimonianza di un’addetta dell’hotel, Francisca Puga, che ai magistrati spagnoli ha dichiarato di aver visto la ragazza buttarsi.

La Suprema Corte di Cassazione
Il primo giudizio in Cassazione

La sentenza della Corte d’Appello di Firenze non ha tuttavia convinto i magistrati della Corte di Cassazione, che vi hanno rinvenuto un depotenziamento di «tutti gli elementi fattuali certi della scena del tragico evento come emergenti dagli atti». «Un esame superficiale del compendio probatorio», in altre parole, evidenziato dal «macroscopico errore visivo di prospettiva nell’esaminare alcune fotografie del punto di caduta della vittima».

O dalla mancata valutazione di elementi quali i graffi presenti sul collo di Albertoni. Ragioni, queste, che hanno spinto la Suprema Corte ad annullare la sentenza di assoluzione disponendo un secondo processo d’appello, conclusosi il 28 aprile 2021 con la condanna dei due imputati.

Le parole delle parti del processo
Bruno Rossi e Franca Murialdo, i genitori di Martina Rossi

«Mia figlia non è morta per un gioco, fuggiva terrorizzata da uno stupro»: così Bruno Rossi ha commentato, visibilmente commosso, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze. «Questa è la fine di un tentativo di fare del nuovo male a Martina. Ci hanno provato ma non ci sono riusciti. Il mio primo pensiero è andato a lei, ai suoi valori, a lei che non ha fatto niente e ha perso la vita».

Non demorde invece l’avvocato Stefano Buricchi, il difensore di Vanneschi: «è un passaggio doloroso ma non finisce qua. Sicuramente impugneremo la sentenza per Cassazione, perché siamo convinti che sia errata, come ritenevamo errata la condanna di primo grado». Gli avvocati dei due imputati, del resto, lo sanno bene: la prescrizione incombe, per la seconda volta.

 

Luca Carrello

Aspirante giornalista, laureato in giurisprudenza all'Università degli Studi di Pavia. La mia passione: la politica. Adoro leggere (prediligo i grandi classici) e amo il mondo dello sport. Mi trovate spesso sui social.

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