Dal 2026, fare shopping online potrebbe costare un po’ di più. Un emendamento alla legge di bilancio del governo Meloni prevede l’introduzione di una tassa fissa di due euro per ogni ordine online fino a 150 euro. Non si tratta di un dazio sulle importazioni dall’estero, ma di un contributo applicato indistintamente anche ai pacchi che partono dall’Italia e arrivano nel nostro Paese. Perché tassare soltanto gli arrivi extra Ue diventerebbe nei fatti un vero e proprio dazio, un compito, quello delle politiche doganali, che rientra nelle competenze esclusive dell’Unione Europea.
Equilibrismo finanziario
L’obiettivo del governo è reperire nuove risorse per compensare altre modifiche fiscali all’interno della manovra. Non a caso accanto alla tassa da due euro è previsto anche il raddoppio della Tobin Tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie, da 2 al 4 per mille sui mercati non regolamentati e dall’1 al 2 per mille su quelli regolamentati. Un raddoppio che dovrebbe portare 1,5 miliardi di euro in tre anni.
Queste due mosse dovrebbero supplire allo stop alla doppia tassazione sui dividendi, una nuova regola per evitare di tassare due volte gli utili distribuiti. Questa agevolazione scatta se si possiede più del 5% della società, Oppure se il valore della partecipazione supera i 500.000 euro. Le risorse recuperate saranno inoltre destinate anche alla possibilità per le imprese di poter continuare a compensare i bonus fiscali “agevolativi” con contributi previdenziali Inps e Inail, così come al possibile ricorso allo sconto dell’ammortamento fino al 30 giugno 2028 per i nuovi investimenti.
Il dumping cinese
Questa decisione arriva mentre tra le importazioni l’aumento più significativo è quello dell’import cinese (+11,8%). Da mesi Camera della moda e Confindustria Moda chiedono di tassare i milioni di pacchi provenienti dalla Cina. Questi infatti godono di un regime doganale incompatibile, che può essere definito “dumping”. Una forma di concorrenza sleale con cui le grandi imprese introducono nel mercato europeo dei prodotti a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di mercato e che non rispecchia i costi di produzione.

Le controversie di Shein
Negli scorsi giorni otto Paesi dell’Unione Europea hanno chiesto alla Commissione Europea e agli Stati membri uno stop alla concorrenza sleale cinese nel campo dell’e-commerce come Shein, Temu e AliExpress. La Commissione ha già inviato richieste di informazioni a Shein, una procedura che potrebbe portare all’apertura di un’indagine. Il governo francese ha già tentato senza successo di sospendere Shein tramite una procedura amministrativa all’inizio di novembre. La causa fu la scoperta della vendita sulla piattaforma cinese di bambole sessuali con sembianze infantili.