Palermo, quartiere Porta Nuova. Più di 200 insospettabili clienti della Palermo “bene”, chiamavano a qualsiasi ora della giornata i mafiosi per farsi portare a domicilio la droga. Potrebbe essere definita una mafia 2.0 o Porta Nuova spa, perché tra i clienti più affermati c’erano imprenditori, ristoratori, architetti, commercianti, dentisti e avvocati, i quali chiedevano allo spacciatore di turno di essere raggiunti per ricevere la consegna della cocaina direttamente nel proprio studio. La cocaina era “una birra”, oppure “un caffè”. «Compare me la porti», «Amico mio ti aspetto», «Gioia fai in fretta». A leggere le intercettazioni dei carabinieri lo spacciatore appare come un amico intimo. Spesso i mafiosi si trasformavano anche in esperti di marketing; infatti erano capaci di attuare anche dei veri e propri sconti: prendi tre, paghi due, oppure comode rate, ma solo ai clienti più fedeli.
L’inchiesta, chiamata operazione “Atena”, è scattata nei confronti di 32 elementi del clan Porta Nuova, fra boss e gregari del mandamento. Sono tutti accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, favoreggiamento reale aggravato, trasferimento fraudolento di valori, sleale concorrenza aggravata dalle finalità mafiose, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione illecita di armi. I proventi dello spaccio venivano reinvestiti in un’agenzia di autobus che organizzava visite turistiche in città, in un ristorantino e nelle forniture di caffè, imposte ai commercianti del centro. Il giro dei bus turistici andava così bene che i boss avevano in mente di ampliare l’investimento e ingrandire la società. Il sequestro è scattato per la società “Pronto bus Sicilia srl” di via Stefano Turr e per l’Osteria del casareccio, di via Discesa dei Maccaronai 47.
L’indagine è stata coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvo De Luca, dai sostituti Maurizio Agnello e Amelia Luise. Questa è stata l’ennesima conferma che i soldi della droga finiscono per finanziare le casse del clan, in questo caso uno dei più influenti di Cosa nostra, quello retto dai fratelli Gregorio e Tommaso Di Giovanni, gli eredi di Riina, che erano già in carcere perché arrestati nell’ambito di un’altra inchiesta.