L’ORO DI NESSUNO: SCONTRO ITALIA-BCE SULLE RISERVE AUREE

«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia, come iscritte nel proprio bilancio, appartengono al Popolo Italiano». Così recita l’ultima riformulazione dell’emendamento sull’oro della Banca d’Italia, letto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti alla commissione Bilancio del Senato. Queste parole arrivano per aggiustare le precedenti dichiarazioni sulla proprietà dell’oro che hanno fatto storcere il naso alla BCE nelle ultime settimane.

La “diatriba” nasce dall’inserimento di questo emendamento simbolico firmato da Lucio Malan di Fratelli d’Italia nel contesto della Legge di Bilancio 2026. Il testo originale, emanato il 20 novembre scorso, recitava che «le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome e per conto del popolo italiano». Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, e la BCE stessa, sono intervenuti tempestivamente, aprendo il dibattitto in merito alla effettiva proprietà delle riserve auree statali depositate presso le banche centrali. La proposta di affermare che l’oro sia «proprietà del popolo italiano» potrebbe minare l’indipendenza della Banca d’Italia, perché secondo i trattati europei la detenzione e gestione delle riserve è compito dei banchieri centrali, non dei governi. La BCE ha chiesto dunque all’Italia di riformulare l’emendamento. In primo luogo perché la modifica, per l’appunto “simbolica”, non porterebbe a scopi concreti. In secondo luogo, perché questa riformulazione solleva preoccupazioni sulla possibilità che l’Italia voglia utilizzare l’oro per finanziare la spesa pubblica. A seguito di diversi colloqui tra Giorgetti e la presidente Lagarde, è stata chiarita la gestione e detenzione delle riserve auree italiane. La gestione resta alla Banca d’Italia, nel quadro e nel rispetto dei trattati europei, ma si mantiene la dichiarazione “di principio” che le riserve «appartengono al popolo italiano».

Ma perché la BCE si è così preoccupata per una potenziale indipendenza della Banca d’Italia? Quali sono i possibili risvolti di questa disputa?

Una questione “di principio”
Christine Lagarde, presidente BCE

La preoccupazione della BCE non è l’oro in sé, ma il principio che si apre inerente all’indipendenza delle banche centrali. Nei Trattati UE è scritto che le banche centrali nazionali (come Bankitalia) devono essere indipendenti dai governi soprattutto su riserve auree, politica monetaria e stabilità finanziaria. Se il Parlamento stabilisce che l’oro «appartiene al popolo italiano», oggi può essere vista come una frase simbolica, domani potrebbe diventare una base giuridica per interventi politici. La BCE teme di creare un precedente: se un governo può “riappropriarsi” dell’oro, domani potrebbe fare lo stesso con altri asset o con le decisioni monetarie.

Inoltre, la BCE ha presentato la paura concreta che l’oro italiano venga utilizzato per finanziare la spesa pubblica. Storicamente, quando i conti pubblici peggiorano, i governi sono tentati di usare le riserve auree come garanzia, venderle o usarle per emettere debito. Anche solo il sospetto che l’oro possa diventare utilizzabile politicamente, innalza l’attenzione dei mercati e mette in discussione la separazione tra politica fiscale e monetaria. La BCE vuole evitare qualsiasi ambiguità su questo punto. L’Italia ha la terza riserva aurea al mondo ed è un Paese con alto debito pubblico. Se passa il principio italiano, altri Paesi potrebbero fare lo stesso e l’Eurosistema perderebbe coerenza e credibilità. Per la BCE è un rischio sistemico, non solo italiano. Formalmente l’oro è nel bilancio della Banca d’Italia e Bankitalia è un ente di diritto pubblico, ma autonomo. Dire che l’oro è “del popolo” non cambia subito nulla, ma crea una zona grigia legale. La BCE odia le zone grigie: i mercati ancora di più.

Possibili scenari futuri

È possibile che questa diatriba, che pare ormai chiusa, crei tensioni tra UE e BCE, aprendo al dibattito sulla necessità di riscrivere il testo sulla gestione delle riserve auree. D’altra parte, se il messaggio italiano venisse interpretato come la possibilità di utilizzare un giorno l’oro delle riserve, si accenderebbero delle reazioni nel mercato finanziario, come l’aumento dello spread, maggior costo del debito e una percezione generale di instabilità istituzionale. Nel caso più estremo, la BCE potrebbe ritenere l’emendamento incompatibile con i Trattati Europei, portando a una possibile apertura di una procedura UE. Tecnicamente, l’oro potrebbe essere usato come risorsa collaterale, essere venduto o sostenere operazioni straordinarie, ma questo porterebbe a uno scontro duro tra UE e BCE, e sarebbe visto sul piano internazionale come un segnale di crisi. È lo scenario che Bruxelles vuole evitare. Tutte queste ipotesi non rappresentano l’obiettivo dichiarato del governo italiano con la modifica dell’emendamento, ma è ciò che la BCE vuole prevenire a monte.

Il fine ultimo della BCE in questa questione è difendere il principio secondo cui le riserve auree non devono essere soggette a controlli politici. Se da una parte lo Stato Italiano parla di sovranità, la BCE guarda alla stabilità del contesto generale Europa. Il problema non è individuabile in ciò che succede oggi, ma in ciò che potrebbe accadere domani. Anche una legge “simbolica” può avere effetti reali sui mercati.

A cura di Carola Mariotti

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