È tornato a casa Mohamed Shahin. L’imam di Torino detenuto per 21 giorni in un CPR in attesa della sua espulsione in Egitto. La sua vicenda ha fatto scalpore quando, durante un corteo per la sua liberazione, alcuni manifestanti sono entrati nella sede della Stampa, vandalizzandola.
LE ACCUSE
Shahin dal 24 novembre si trovava nel CPR di Caltanissetta, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione dal ministero dell’Interno. Il documento lo descriveva come figura di rilievo negli ambienti del fondamentalismo islamico, antisemita e con presunti legami con persone indagate per terrorismo. La procura aveva anche aperto un’indagine, poi archiviata, su alcune frasi pronunciate il 9 ottobre scorso, menzionate anche nel decreto di espulsione. Quando Shahin aveva dichiarato, riferendosi a quello che è successo il 7 ottobre del 2023, «personalmente sono d’accordo, non è stata una violazione e nemmeno una violenza».
IL RILASCIO
I motivi per cui la Corte d’appello ha deciso di rilasciare Shahin per diversi motivi. C’è l’archiviazione dell’indagine sulle frasi pronunciate sul 7 ottobre. Secondo la procura queste dichiarazioni sono protette dal diritto alla libertà di espressione. L’imam ha comunque smorzato i toni nei giorni successivi, dicendo di vedere le azioni di Hamas come una reazione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
La Corte d’appello ha poi sottolineato come Shahin non sia mai stato accusato di comportamenti violenti, ma solo di un blocco stradale durante una manifestazione. I presunti contatti con persone indagate per terrorismo sarebbero stati circoscritti e di diversi anni prima. Inoltre sono stati giustificati da Shahin nel periodo al CPR. L’imam ha poi presentato diversi documenti che testimonierebbero il suo impegno a sostenere «i valori su cui si fonda l’ordinamento dello Stato italiano».