È il pranzo della domenica, il ragù vegliato per ore, la tovaglia candida che si stende per apparecchiare e si ritira bella macchiata di sugo, ovviamente senza l’immancabile caffè e ammazza-caffè. È la mano che passa il pane, ma che non passa il sale perché porta male. Più di un semplice insieme di piatti e ricette, ma tradizioni secolari su cui poggiano le basi morali del nostro Paese.
Sono quelle che hanno permesso alla cucina italiana di entrare ufficialmente nella lista del patrimonio culturale dell’umanità, non come singolo piatto ma come modo di pensare al cibo, di stare insieme a tavola. Infatti non a caso è stata definita “cucina degli affetti” dal Comitato intergovernativo dell’UNESCO riunitosi a New Delhi.
Una prima volta storica
Finora l’UNESCO aveva riconosciuto pratiche gastronomiche singole, mai una cucina nazionale. Insieme alla Dieta mediterranea, all’arte dei pizzaioli napoletani, alla cerca e cavatura del tartufo, alla viticoltura ad alberello di Pantelleria e ai paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato, entra in lista la cucina italiana nel suo complesso, con le sue infinite varianti regionali e familiari.
120 miliardi di guadagni
Non è solo prestigio, sono numeri. Le stime di Coldiretti dicono che questo riconoscimento porterà ben 120 miliardi di euro in più nelle casse del Paese. Fino a ieri combattere il falso Made in Italy era una battaglia legale costosa e spesso persa. Sugli scaffali di mezzo mondo il Parmesan del Wisconsin o la Salsa Pomarola tedesca rubavano all’Italia miliardi di euro, un fenomeno noto come “italian sounding”.

In questo senso il riconoscimento dell’UNESCO è un’arma legale potentissima. Certifica che non esiste cucina italiana senza prodotti italiani. Diventa la prova definitiva in ogni trattativa commerciale per imporre l’acquisto di materia prima originale. Un assist clamoroso per il nostro export, che potrebbe recuperare miliardi sottraendoli al mercato del falso.
Food tourism
Secondo le stime di Fiepet-Confesercenti l’effetto UNESCO vale un aumento immediato del turismo tra il 6% e l’8%. Tradotto in numeri: si prevedono circa 18 milioni di presenze turistiche extra nei prossimi due anni. Non è il solito turismo “mordi e fuggi” di chi si fa un selfie a Venezia. Si tratta di un turismo enogastronomico per chi ha un certo budget, quello che cerca l’esperienza autentica, che vuole visitare le cantine, i frantoi e le masserie.