
La Cina annuncia un aumento del 7,2% per la difesa militare: un budget di circa 1.780 miliardi di yuan (circa 246 miliardi di dollari) per il 2025, secondo solo agli Stati Uniti.
Anche se è ancora lontana dalla spesa militare degli USA (quasi 900 miliardi di dollari per il 2025), l’aumento del budget cinese nel settore militare è un altro indice della direzione in cui sta andando il mondo: il riarmo. Parola che incomincia ad entrare sempre più spesso anche nelle cancellerie europee. Non a caso, Ursula von der Leyen, a capo della Commissione europea, ha di recente annunciato il “Rearm Europee”, un piano da 800 miliardi di euro per la difesa comune spalmati in quattro anni.

Se l’Europa investe nel settore militare nell’ottica di un eventuale futura aggressione russa, e prepararsi di conseguenza anche ad una eventuale difesa senza gli USA, la Cina lo fa per proiettare la sua influenza oltre i suoi confini. Pechino, infatti, nella seduta annuale del Congresso nazionale del popolo (nota anche come Assemblea Nazionale del Popolo, il ramo legislativo del parlamento cinese) ha ribadito con il Primo ministro Li Qiang che il Paese porterà “avanti con fermezza” la spinta per la riunificazione con Taiwan.
Il numero due della Cina ha riaffermato che il Paese rimarrà fedele al principio della ‘Unica Cina’ e al Consenso del 1992, opponendosi in modo risoluto alle attività separatiste volte all’indipendenza di Taiwan e alle interferenze esterne.

Obiettivi economici e dazi
Alla presenza del Presidente Xi Jinping e di tutta la leadership, Li Qiang ha fissato come obiettivo del 2025 la crescita del PIL del 5% circa, confermando il target dello scorso anno e del 2023, oltre anche a creare 12 milioni di nuovi posti di lavoro.
Per centrare questi obiettivi, il Premier cinese prevede un tasso di inflazione di riferimento intorno al 2% e un rapporto deficit/Pil del 4%, oltre anche ad orientare le risorse fiscali verso i consumatori per rendere l’economia più resiliente dinnanzi alle crescenti tensioni commerciali con gli Stati Uniti di Donald Trump.
In risposta alla politica protezionistica americana, che ha ulteriormente aumentato la tariffa del 10% su tutto l’import cinese, in aggiunta al 10% di inizio febbraio, Pechino ha reagito con dazi del 10-15% sui prodotti agricoli statunitensi e con una stretta a danno di 25 aziende Usa.