Italiani tra i “cecchini del weekend” a Sarajevo: aperta l’inchiesta a Milano

Erano i “cecchini del weekend”. Italiani che tra il 1993 e il 1995 sono partiti per Sarajevo, durante il massacro dei civili compiuta per mano dei serbo-bosniaci, con l’obiettivo di sparare per divertimento contro uomini, donne e bambini della capitale. A denunciare il fatto è stato lo scrittore Enzo Gavazzeni, assistito dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, raccogliendo materiale e la testimonianza dell’agente dell’intelligence bosniaca, Edin Subašić. È iniziata così l’inchiesta da parte della Procura di Milano a carico di ignoti per omicidio plurimo volontario, aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti.

I fatti negli anni Novanta

I “viaggi” erano già emersi 30 anni fa ed erano stati fermati dal Sismi, ex servizio segreto italiano per le informazioni e la sicurezza militare. «I servizi bosniaci – ha dichiarato Subašić – hanno saputo del “safari” alla fine del 1993. Abbiamo informato il Sismi all’inizio del 1994 e ci hanno risposto in 2-3 mesi. “Abbiamo scoperto che il safari parte da Trieste. L’abbiamo interrotto e il safari non avrà più luogo”». E anche nel 1995 il Corriere della Sera aveva raccolto informazioni relative al massacro.

La vicenda poi non è più stata approfondita fino a qualche anno fa, quando Gavazzeni è tornato sull’argomento dopo la visione del documentario “Sarajevo Safari” che in cinquanta minuti sviscera i fatti. «C’era la testimonianza della coppia che perse la bimba su passeggino – ha sottolineato Gavazzeni – e quella della persona finita sulla sedia a rotelle perché colpita alla schiena da un proiettile sparato da un cecchino». Da qui l’approfondimento della carneficina.

Aperta l’inchiesta a Milano per i “cecchini” di Sarajevo
Il profilo dei cecchini
Lo scrittore Ezio Gavazzeni

I cecchini non sono stati ancora identificati, ma si tratterebbe di cittadini italiani partiti probabilmente da tre città, Trieste, Milano e Torino, tramite un’organizzazione che permetteva di portarli a Sarajevo per sparare liberamente contro innocenti. Delineando i colpevoli, Gavazzeni ha spiegato: «Erano facoltosi imprenditori e professionisti, provenienti dal nord Italia, ma anche da Spagna, Francia, altri Paesi europei. Lavoravano sino al venerdì, poi andavano a sparare a rientravano la domenica sera».

Poi Subašić ha fornito a Gavazzeni altri dettagli che ricostruiscono la vicenda e il profilo dei cecchini. Probabilmente uomini tra i 65 e gli 80 anni, benestanti e cacciatori. «Gente facoltosa – ha detto l’agente – con una reputazione e influenti nelle loro comunità» e «con la passione per le armi, da sfogare, che preferisce andare a letto col fucile». I cecchini sono ancora anonimi perché «hanno le risorse legali per proteggersi da un’eventuale indagine e anche l’influenza politica per ostacolarla. – ha affermato Subašić – Il livello di rischio che l’operazione venga scoperta e che gli attori vengano perseguiti è ridotto al minimo da una buona organizzazione».

L’ex sindaca di Sarajevo
L’ex sindaca di Sarajevo Benjamina Karic

Le carte presentate da Gavazzeni sono state fondamentale per riaprire il caso. Nei giorni scorsi, infatti, si sono riuniti il procuratore Marcello Viola, il pm titolare dell’indagine Alessandro Gobbis e gli investigatori del Ros dei carabinieri per analizzare il materiale a disposizione. Oltre all’inchiesta avviata dalla Procura di Milano, sul caso è intervenuta anche l’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic. «Nel settembre 2022 – ha dichiarato – ho presentato una denuncia penale alla Procura contro persone non identificate che seminavano morte a Sarajevo e i loro complici».

Ma non solo. Inoltre, lo scorso agosto Karic ha inoltrato la denuncia penale alla Procura di Milano, tramite l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo e si è resa disponibile a testimoniare. L’ex sindaca poi sottolineato che, secondo un anonimo ufficiale dei servizi segreti sloveni «per sparare a un bambino veniva pagato dai cecchini un compenso monetario più alto». E ora «un’intera squadra di persone instancabili sta lottando affinché la denuncia non rimanga lettera morta. Non ci arrendiamo!».

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