Il divorzio ha 52 anni. Bernardini de Pace: “Così è cambiata l’Italia”

Il 1 dicembre 1970 in Italia è stato istituito legalmente il divorzio, un momento di svolta per una società ancora molto legata e vincolata dai retaggi culturali di stampo cattolico. All’epoca le separazioni erano viste da lontano, come una dinamica che – se attuata – avrebbe potuto avere come artefice unicamente la Sacra Rota, per sciogliere l’importante vincolo del Sacramento.

Per la prima volta una legge di stampo repubblicano venne approvata senza l’ottenimento del voto favorevole del partito di maggioranza, che, in quegli anni, risultava essere la Democrazia Cristiana. Uno scacco alla famiglia basata sullo schema patriarcale, arrivando a rappresentare per le donne una spinta verso l’autonomia economica, dopo essere entrate a far parte gradualmente del mondo del lavoro.

Nel corso degli anni, due referendum – quello del 1974 e quello del 1981– non sono riusciti ad abolire questa legge, che dava ai coniugi il diritto di scegliere cosa fare della propria vita personale. Il primo, portò il 59,3% dei votanti ad esprimere il proprio essere a favore del mantenimento della norma; il secondo, vide il 70% degli italiani pro divorzio.

Con il passare del tempo, alla legge vennero applicati alcuni cambiamenti: dai 5 anni di separazione obbligatori per ottenere il divorzio, si arrivò ai tre, per giungere poi a uno, nel caso di separazione giudiziale, con conseguente divorzio breve nell’ipotesi di separazione consensuale.

Annamaria Bernardini de Pace, la tigre del foro, che ama le rane

In Italia quando si parla di separazioni e divorzi viene subito in mente la Regina del Diritto di famiglia, l’Avvocato Annamaria Bernardini de Pace, per la quale coloro che intendono separarsi arrivano da tutta Italia in uno dei suoi studi sparsi per lo stivale (Milano, Roma, Bergamo, Padova e Ameglia).

74 anni, nata a Perugia il 23 aprile 1948 e figlia d’arte – padre magistrato e poi avvocato, madre insegnante e in seguito anch’ella entrata nel mondo del Foro – è l’unica di 4 fratelli ad aver seguito la carriera dei propri genitori, nonostante inizialmente le sue ambizioni riguardassero palcoscenici e corone…

Alt Avvocato Annamaria Bernardini de Pace
La Regina italiana del Diritto di famiglia, l’Avvocato Annamaria Bernardini de Pace

Avvocato Bernardini de Pace, Lei è un’istituzione del Foro. Ciò rappresenta la realizzazione di un Suo sogno di bambina?
In realtà da ragazza ero incerta se fare la regina o la ballerina…Andavo a danza e cantavo, ma poi siccome ero molto stonata, mi è rimasta l’idea dei diventare regina, ma non ho incontrato nessun principe o re e, allora, ho pensato di fare la mamma. Mi sono innamorata molto di colui che, poi, sarebbe diventato mio marito, il mio Professore di Diritto Romano all’università, Francesco Giordano, e quando lui mi ha detto “Ci sposiamo, però lasci perdere gli studi e il lavoro e fai solo la mamma”, a me è sembrato di essere davvero una regina, facendo la moglie dell’uomo che amavo e, appunto, la mamma. Quindi, ho l’asciato l’università. Però, e devo dirlo, purtroppo l’amore finisce sempre e, a quel punto, ho deciso di riprendere a studiare. Mi sono laureata nel 1978. Avevo già 30 anni e due bambine, una di 8 anni e una di 6, le uniche che abbiano partecipato alla mia Laurea. Io e mio marito eravamo in brutti rapporti – perché avevamo deciso di separarci – ed i miei genitori non si sono interessati, quindi ho discusso la laurea con le mie figlie sedute su uno scalino dentro l’aula.

Come ricorda i primi anni di lavoro da “mamma separata”?
Era molto difficile, infatti io, inizialmente, ero una separata in casa, perché non guadagnavo e dovevo studiare. Inoltre, servivano altri tre anni per diventare avvocato, così sono andata nello studio dei miei genitori per fare la pratica e dopo ho fatto gli esami per l’abilitazione alla professione forense. Non volevo assolutamente chiedere soldi né alla mia famiglia d’origine né a mio marito, quindi stavo in casa, curavo le mie figlie e mi arrabattavo nel lavoro. Non avevo lo Studio, non avevo niente. Andavo, sì, dai miei genitori, ma avevo le bambine, senza una cameriera che mi aiutasse, quindi potevo lavorare solo la mattina.

Come gestiva la sua vita personale?
Nel 1987, dopo essermi separata e aver divorziato, ero poverissima. Pensi che dal 1983 al 1988 non sono mai andata dal parrucchiere e non ho comprato un vestito o un paio di scarpe. Mi occupavo solo delle mie figlie. Se mi invitavano fuori a cena, le portavo con me per far mangiare loro la carne. Il mio ex marito non  pagava per le nostre bambine perché era arrabbiato con me dato che avevo richiesto la separazione. Ero senza soldi. Il mio primo vestito l’ho comprato nel 1988: era quello che si chiamava un “vestito da riunione”.
Ci tenevo molto perché volevo presentarmi alle persone con una certa immagine.

Il primo mattoncino speciale della sua carriera?
L’ho “posato” grazie a Caterina Caselli – che avevo conosciuto grazie a un mio amico – quando ho firmato un contratto di consulenza con la CGD, la Compagnia Generale del Disco, che all’epoca era la casa discografica più importante. Così, in seguito, ho conosciuto Ornella Vanoni – che è ancora adesso la mia più cara amica – Loredana Berté, Fabrizio De André ed altri personaggi, ed ho cominciato a lavorare.

Una figura importante nella sua vita è stata quella di Indro Montanelli.
Sì, l’ho conosciuto nel 1987 e volle assolutamente che io scrivessi per lui, perché gli piaceva il mio stile. Da quel momento i miei articoli erano tutti i giorni sulla prima pagina de “Il Giornale”. Successivamente sono diventata Giornalista Pubblicista. Già lavoravo per la CGD, ma guadagnavo il minimo indispensabile per pagare l’affitto e sostenere le bambine, e null’altro. Montanelli insistette affinché io mi dedicassi al Diritto di Famiglia, spinto da un libro, uscito poco prima, di Francesco Alberoni intitolato “Innamoramento e amore”. Indro mi disse che secondo lui quel testo avrebbe cambiato le famiglie italiane, che, rispetto al resto del mondo, erano ancora molto tradizionali e basate su un fortissimo senso sociale e del dovere. Pensiamo, ad esempio, a quante donne sopportavano le corna dei mariti o a quanti avevano amanti pubbliche. Alberoni, in questo modo, secondo Montanelli, portò l’amore a diventare una variabile del matrimonio, per cui “se uno si vuole innamorare, può farlo e può divorziare, perché c’è il divorzio”, anche se all’epoca non era facilmente entrato nella mentalità italiana. È stato Alberoni a dare la scossa. Io, a quel punto, ho iniziato ad occuparmi di Diritto di Famiglia.

Alt Annamaria Bernardini de Pace
L’Avvocato Annamaria Bernardini de Pace, chiamata anche “La Tigre del Foro”, ospite in un programma televisivo

Un Avvocato con l’animo da giornalista
Mi avrebbe fatto piacere fare la giornalista di professione e, alla fine, in qualche modo, sono anche riuscita in questo, realizzando molti articoli per Montanelli. Ho imparato a scrivere grazie a Indro. Se vuoi essere un giornalista devi capire come andare al cuore del problema e questo me l’ha insegnato lui. Eravamo proprio amici, veniva a casa mia a cena e da lui ho imparato tantissimo. I suoi insegnamenti li ho continuati ad usare anche nella mia professione. Infatti, tutti gli atti li redigo come se fossero articoli di giornale, così sono sicura che anche i giudici li leggano.

C’è un momento che ricorda come un punto di svolta della sua carriera?
Sì, risale al 1989, quando è venuta da me Laura Chiesa, moglie di Mario Chiesa con i suoi documenti, da me depositati successivamente in tribunale. Li ho visti e mi sono impressionata. Mi dicevo “Ma questo Mario Chiesa, che fa tanto il povero, com’è possibile che abbia depositi per 50 miliardi, tutti alla banca commerciale, anche se a nome di altri?!”. Quando feci l’atto e stavo trascrivendo i nomi degli intestatari, vidi che non ci entravano tutti per intero nell’elenco dei documenti, così scrissi solo le iniziali. In quel momento mi illuminai e vidi che quell’associazione di lettere rimandava ai partiti italiani, come DC, PC, PSI. Così, in udienza feci notare questo dato ai giudici e chiesi di inviare gli atti alla Procura della Repubblica, perché ero sicura ci fosse qualcosa di strano sotto. Dopo tre ore di discussione, pur di farmi andare via, i giudici mi ascoltarono. La causa era iniziata nel 1989, nel 1991 mi interfacciai con Antonio di Pietro e nel febbraio del 1992 Mario Chiesa fu arrestato.  Così iniziò Tangentopoli. Da allora ho avuto tra le 150 e 200 cause all’anno, tra separazioni, divorzi, successioni, oltre ai riconoscimenti.

Visto il fiuto per l’inganno, avrebbe avuto anche un’altra possibile strada da seguire…
Sì, quella dell’enigmista. (ride, ndr)

Come ha fatto e come riesce a gestire tutto?
Non è stato semplice. Dopo la morte di mio padre volevo aprire il mio Studio, così domandai un mutuo alla Banca Commerciale. Fortunatamente il Direttore era un accanito lettore dei miei articoli su “Il Giornale”. Ricordo ancora le sue parole: “Avvocato, io Le concedo il mutuo anche se Lei non può darmi nulla come garanzia, perché ho la convinzione che Lei riuscirà a sfondare!”. Così mi diede un mutuo da 100 milioni di lire, che all’epoca era tantissimo. Ho aperto il mio studio il 1’ febbraio del 1989 e nell’agosto del 1991, dopo aver saltato tutte le vacanze, l’ho estinto.

Una grandissima soddisfazione.
Sì, anche perché il mio Studio è stato il primo, in Italia, tutto al femminile. Una grande avanguardia, perché le donne – anche le avvocatesse – fino ad allora, facevano le segretarie degli avvocati maschi. Così, all’inizio eravamo quattro donne e un uomo, il segretario, a me sottoposto. Era l’unico. Ho mantenuto la quota azzurra. Anche ora continuo secondo questa linea. Ho sei studi, ma solo due maschi che ci lavorano, e in quello di Milano siamo solo ed esclusivamente donne.

Una forte dimostrazione di fiducia, a quei tempi, verso una donna mamma, lavoratrice e divorziata. Non sarà stato facile.
No, non è stato semplice. All’epoca, quando mi sono separata, ho fatto scandalo perché le persone non lo facevano o se si decidevano, avveniva di nascosto, senza dirlo. Io, invece, mi sono separata, lo dicevo a tutti, lo raccontavo. Questo ha fatto sì che si creasse il vuoto intorno a me, però non mi interessava, perché avevo da lavorare. Quando io e mio marito ci siamo allontanati era il 1983 e nella classe delle mie figlie loro erano le uniche con i genitori non più insieme. Sapevo che le persone dicevano “povere, sono figlie di separati”, mentre ora, nelle classi dei miei nipoti, l’80 % dei genitori è separato.

Quanto incide oggi, nel 2022, il retaggio religioso di uno Stato cattolico come l’Italia?
Pochissimo. Vedo tantissimi cattolici che si separano. Ho aiutato molte donne parlando con i loro parroci, che non volevano più permettergli la comunione. Mi sono recata da loro per spiegargli che avrebbero dovuto concedergliela, specificando che, in quei casi, se il divorzio viene chiesto dal marito, non ci si può opporre, altrimenti occorre pagare le spese. Facendo così, tante donne cattoliche si sono potute separare.

C’è una fase della vita nella quale i coniugi tendono a separarsi di più?
No, non è una questione di età. Da me si separano a 20 anni, come a 40, ma anche a 80. E non è nemmeno una questione di censo o religione. Davvero l’amore è la variabile del matrimonio. Come diceva Montanelli “di amore e di innamoramento, prima, se ne parlava solo in termini formali, mentre adesso è una variabile concreta del matrimonio; questo perché Alberoni ha spiegato che l’amore è un diritto, un fattore ingovernabile, che non ha né censo, né settori sociali”. Dopo la variabile dell’amore, è arrivata anche quella della sessualità. Oggi sono tantissime le separazioni e i divorzi che seguiamo affinché un coniuge formi una coppia con una persona dello stesso sesso. Tanti uomini si sono separati per andare a vivere con il loro compagno e le loro ex coniugi donne, così, sono meno arrabbiate rispetto al fatto che l’ex partner si fidanzi con un’altra donna, perché, in questo modo, non devono competere. Negli ultimi sei, sette anni anche le donne hanno iniziato a separarsi per formare una coppia con un altro soggetto dello stesso sesso.

Le Legge sul divorzio, secondo Lei, richiederebbe ulteriori aggiustamenti?
La lotta che sto facendo io, da un po’ di anni – in parte da me vinta, ma non del tutto – è che la casa dove sono vissuti i figli venga assegnata a loro stessi e i genitori si alternino in quella precisa abitazione, ad esempio, una settimana uno, una settimana l’altro, in modo tale che i figli non debbano sempre fare i bagagli e spostarsi con gli oggetti di tutti i giorni come il computer. I casini li fanno i genitori e, quindi, devono essere loro a spostarsi, non i figli. In molti mi hanno già ascoltata, in diverse parti d’Italia, come a La Spezia, Bologna, Gorizia, Milano…

Alt Annamaria Bernardini de Pace
L’Avvocato Annamaria Bernardini de Pace in un’immagine ricca di dettagli che esprimono la sua personalità originale

La figura del papà ora può essere considerata anche la parte debole della coppia, come succedeva quasi sempre con quella della donna, in passato?
Sì, certamente. Se ho un cliente che non paga i figli, io lo obbligo a farlo, e se per caso non ci riesco, rinuncio al mandato e non lo difendo. Lo stesso accade se si tratta di una madre che non fa vedere i figli al padre. Inizialmente, se ha delle buone motivazioni, le do spazio, però, alla lunga, o fa come dico io oppure non la assisto più. Io mi faccio pagare da uno dei genitori, perché quello è il mio cliente, però mi sento l’avvocato dei figli, quindi ragiono per i figli e con i figli.

Quanti sono i figli affidati ai papà?
Tanti, addirittura il primo affidamento a un papà lo abbiamo definito nel 1983 e si trattava dei tre figli di un pediatra della Macedonio Melloni, una clinica di Ostetricia e Ginecologia a Milano. Adesso, nelle famiglie, lavorano sia il padre che la madre, quindi ci sono molti affidamenti alternati, cioè collocamenti che portano i bambini a trascorrere lo stesso tempo dal papà e dalla mamma.

La pandemia ha inciso molto sull’aumento delle richieste di separazione?
Sì, perché, improvvisamente, le persone hanno scoperto con chi vivevano (sorride, ndr). Molti si erano dimenticati chi fossero i propri coniugi, stando fuori tutto il giorno, lavorando, quindi non gli è piaciuto ritrovarsi a vivere con un estraneo in casa. Abbiamo avuto ancora più lavoro dopo la pandemia.

Cambiamo totalmente argomento. E’ vero che ama le rane?
Sì, verissimo. Le amo profondamente perché sono brutte, con una pelle orrenda, grasse, con le gambe storte, gli occhi in fuori, la bocca enorme e sformata, una voce sgradevolissima, ma sono felici cantando tutto il giorno, anche se malissimo. Per cui, a mio parere, le rane costituiscono l’etica dell’antiestetica. E’ pieno di donne e uomini che passano le giornate a cambiarsi la bocca, gli occhi, il sedere, il seno, qualsiasi cosa, vivendo in questa ricerca continua e costante dell’estetica perfetta, impossibile da raggiungere. Ecco, io adoro le rane proprio perché rappresentano l’etica e l’allegria dell’antiestetica.

Le imperfezioni ci differenziano…
Sono d’accordo ed è per questo che amo questo animale. Sono piena di rane, di ogni materiale e dimensione. Mi faccio creare anche i gioielli ad hoc, con diamanti, di rame, che si tratti di orecchini, anelli, bracciali…

Una chicca sul divorzio Totti-Blasi?
Totti chi?

 

Valeria Boraldi

Nata a Carpi e con il cuore a forma di tortellino. Milano è la mia seconda casa e il giornalismo televisivo la mia grande passione. Un gatto, Piru, che mi riempie la vita d'amore e lo spirito libero di una curiosa viaggiatrice. Amo leggere e mangiare cioccolata. Tanta cioccolata.

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