Dalle elezioni presidenziali ad un golpe militare in tre giorni. Le vicende in Guinea-Bissau si sono mosse velocemente in una direzione, però, non nuova per il Paese. Durante il conto dei voti, un gruppo di militari ha preso il controllo del Paese, deponendo il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló e nominando al suo posto il generale Horta Nta Na Man. Il militare è in realtà uno stretto alleato di Embalò e si pensa che sia stato proprio quest’ultimo ad aver orchestrato il golpe per rimanere al potere. I militari hanno, invece, sostenuto di aver agito per proteggere la nazione da un piano per destabilizzare l’ordine nazionale. Rimane però ignoto chi abbia orchestrato la minaccia.
Il Paese

La Guinea-Bissau è uno degli stati più poveri al mondo, circa il 40% della popolazione vive con meno di tre dollari al giorno. Situata in Africa Occidentale tra Senegal e Guinea, è rimasta fino al 1974 una colonia portoghese. Dall’indipendenza il Paese ha subito quattro colpi di stato e diversi tentativi falliti. L’instabilità istituzionale si è anche riflessa in diversi omicidi politici. Solo il presidente José Mário Vaz, eletto nel 2014, è riuscito a portare a termine il suo mandato.
Nel 2008 l’Onu ha definito la Guinea Bissau un “narco stato” per la sua centralità nel commercio mondiale di cocaina. La sua geografia, con grandi delta fluviali e 88 isole costiere – arcipelago delle Bijagòs – crea punti di sbarco naturali e protetti, perfetti per le operazioni dei cartelli della droga colombiani. Ciò significa che i sui sistemi economico, politico e sociale sono strettamente legati al traffico di droga.
La reazione internazionale
I capi di Stato del blocco regionale dell’Africa occidentale (ECOWAS) hanno condannato il golpe e hanno tenuto una riunione virtuale per discutere della situazione. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha sottolineato come «qualsiasi disprezzo della volontà del popolo che ha votato pacificamente nelle elezioni generali del 23 novembre costituisce una violazione inaccettabile dei principi democratici».