La legge di bilancio 2020 aveva già aumentato il congedo obbligatorio per i neopapà. Da 5 a 7 giorni, con la possibilità di avere l’ottavo nel caso in cui la madre rinunciasse a uno. In questo modo la legislazione nazionale si avvicinava a quanto previsto dalla direttiva europea del 4 aprile 2019. Allora il Parlamento Europeo aveva infatti approvato la norma secondo cui il congedo di paternità obbligatorio si attestava a 10 giorni di assenza retribuita. Il tempo di adeguamento a questi canoni è stato fissato in 3 anni, ossia entro il 2022.
Stando a quanto dichiarato giovedì 16 gennaio dal Sottosegretario al Lavoro del Pd Francesca Puglisi, un team di esperti sarebbe pronta a studiare e vagliare una nuova ipotesi di un’estensione del congedo parentale obbligatorio da 5 a 6 mesi: ai papà spetterebbe un mese intero, ossia il 20% totale.
Per le donne, a cui oggi spettano 5 mesi di congedo di maternità, il periodo previsto sarebbe di poco minore all’attuale. Si tratterebbe di una riforma in direzione di «politiche di condivisione» volte a rovesciare il paradigma che prevede che «le donne fanno carriera più lentamente perché sono spiazzate dal peso delle cure familiari». Si guarda, secondo il Sottosegretario Puglisi, al modello svedese di congedo unico di sei mesi, dei quali il padre usufruiscono proprio per il 20%.
A finanziare in parte la misura, sostiene ancora Puglisi, sarebbero i fondi europei stanziati per facilitare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro.
Una misura per alleviare le differenze di genere
Un mese in più per i papà per abbattere un “gender pay gap” medio del 7,4,%. Se il primo numero riguarda la proposta di estensione del congedo di paternità e quindi parentale, il secondo dato indica la differenza stilata dall’Istat fra i salari percepiti da uomini e donne in favore dei primi.
Secondo un’indagine pubblicata nel 2019 da Almalaurea, le differenze di genere, specialmente fra i giovani usciti dall’università, si confermano elevate anche in termini occupazionali: 6,4 punti percentuali in meno per le laureate magistrali, rispetto ai loro colleghi maschi – 84,6% le donne contro il 91,0% degli uomini -. Ma il dato che più si fa notare è il differenziale occupazionale rilevato cinque anni dopo la laurea, che sale a 24,5 punti percentuali fra quanti hanno figli.
Congedo di paternità e tasso di natalità
Favorire una condivisione delle cure familiari fra i coniugi, così come auspicato dal Sottosegretario Puglisi nel caso in cui la riforma dovesse andare in porto, potrebbe anche avere un effetto di crescita del tasso di natalità? Difficile dirlo. Il tasso di natalità italiano, fra i più bassi d’Europa, è di 1,35 figli per donna.
Le politiche assistenziali, riconfermate dal governo in carica – dalla proroga del bonus asilo nido, del bonus bebè e del bonus mamma domani, alla carta bimbi, fino al congedo di paternità di 7 giorni tuttora in vigore – non hanno sortito nel corso degli anni gli effetti sperati.
Questo da una parte a causa di problemi strutturali nel Paese: soltanto 1 bambino italiano su 10 ha la possibilità di accedere agli asili nido pubblici.
Problematiche che non toccano solo i neonati, ma anche i genitori, spesso obbligati a scegliere tra lavoro e famiglia, a causa della poca flessibilità a lavoro e spesso di una carenza del cosiddetto smart working.
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