Donne e lavoro: essere madri è ancora un ostacolo

La gioia della genitorialità, tra difficoltà e ambizione. Molto spesso bilanciare benefici e gratificazione con la sfida finanziaria che comporta avere un figlio è a dir poco complicato. Ma per qualcuno lo è di più. Infatti, in quasi tutti i paesi del mondo, la carriera lavorativa delle donne è estremamente colpita da quella che viene definita: “motherhood penalty”.

I dati

La London School of Economics, in collaborazione con la Princeton University, ha analizzato i dati provenienti da 134 paesi, rappresentanti il 95% della popolazione mondiale. E cosa si evince è che, nella maggior parte dei casi, la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro cala drasticamente dopo la nascita del primo figlio.
Osservando nello specifico il tessuto del mercato del lavoro mondiale, il 95% degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione, contro il 52% delle donne della stessa età. Uno scarto sostanziale, che ha alla base vari fattori quali anche la maternità e, nei paesi in via di sviluppo, il matrimonio.

Nei paesi occidentali, parte del divario occupazionale tra uomini e donne è anche influenzato dal gap salariale. Infatti, a causa del congedo di maternità, a molte donne viene preclusa la possibilità di avere promozioni o opportunità di carriera. Per ciò, molto spesso, conviene rimanere a casa e occuparsi della famiglia, piuttosto che pagare asili o tate private.
Nei paesi più poveri, invece, il matrimonio diventa il fattore primario per esplicare l’uscita delle donne dal mondo del lavoro. Per esempio, in Zambia, la maternità spiega solo il 10% del gap occupazionale.
Volgendo lo sguardo verso i paesi in via di sviluppo, invece, anche se molte donne escono dal mercato occupazionale dopo essersi sposate, il “motherhood effect” è la causa principale dell’addio alla forza lavoro. In America Latina, il 38% delle donne smette di lavorare dopo il aver avuto il primo figlio e, 10 anni dopo, il 37% continua a rimanere fuori dal mercato.

Congedo di maternità e il ruolo dei governi

A questo punto, trasponendo questi dati in un’analisi sociale, ci sono due conclusioni che si possono trarre: le donne sono ancora percepite come le responsabili primarie della cura dei figli e i governi non lavorano abbastanza per favorire il loro reinserimento nel mercato del lavoro.
In paesi come la Francia, con la natalità ai minimi, il governo di Macron sta tendando di risolvere il problema introducendo il congedo de naissance. Ovvero, un congedo parentale pagato meglio e più lungo per entrambi i genitori. Infatti, se le donne percepiscono la maternità come un fattore penalizzante per la loro carriera, sono spesso portate a dover decidere fra le due.
Similmente, in Inghilterra, Austria e Germania, stanno progettando di riformare i sussidi per l’assistenza all’infanzia e introdurre il congedo parentale rivolto a tutti.
Effettivamente, queste misure hanno un impatto positivo. Secondo i dati raccolti dalla World Bank, la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro, in paesi dove sono stati introdotti sussidi o bonus maternità, è salita del 4%. Nonostante ciò, questo è un piccolo passo rispetto al divario enorme tra l’occupazione maschile e quella femminile. Al ritmo attuale, ci vorranno altri 170 anni prima che il divario economico globale di genere venga colmato.

Vittoria Giulia Fassola

Classe 2001. Ligure e anche un po' francese. Laureata in International Relations and Global Affairs, all'Università Cattolica di Milano. Mi interesso di politica estera e di tutto ciò che penso valga la pena di raccontare. Il mio obiettivo? Diventare giornalista televisiva.

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