
IN DIRETTA DA WIMBLEDON
Tutto sta nei dettagli. È l’erba rasata al millimetro e controllata ogni mattina. È il rispetto quasi religioso delle tradizioni. È la cura delle linee bianche tirate con precisione, l’eleganza impeccabile degli outfit in total white. È questo insieme di piccoli riti che rende Wimbledon il torneo più prestigioso al mondo. Uno Slam tra quattro, certo, ma con un’aura tutta sua, fatta di fragole con panna, salmone e champagne affacciati a bordo campo. Ecco tutte le curiosità che fanno del Championships l’evento tennistico più esclusivo dell’anno, dentro e fuori dal campo.
L’erba di di Wimbledon è sempre la più verde
All’All England Club anche l’erba è una questione di principio. Il manto verde perfettamente rasato è una dichiarazione d’identità. Un simbolo che distingue questo Slam da tutti gli altri. Durante l’anno, sono quindici i giardinieri che si prendono cura della perennial ryegrass, un’erba selezionata con cura, che viene tagliata e misurata, ogni giorno, a un’altezza esatta di 8 millimetri. Non uno di più, non uno di meno.
I lavori per la preparazione del manto iniziano subito dopo la fine del torneo e proseguono per dodici mesi, in un ciclo continuo di semine, test e manutenzione. Da quando, nel 2001, si è deciso di sostituire la miscela originaria con un’erba più resistente, la superficie è diventata leggermente più lenta rispetto al passato, influenzando anche il gioco.
Wimbledon non è sempre stato però l’unico Slam sull’erba. Anche l’Australian Open, fino al 1987, si giocava su questa superficie. E lo stesso vale per lo US Open: nato sull’erba, ha salutato il verde nel 1974 per abbracciare prima la terra verde americana e poi, definitivamente, il cemento nel 1978. Oggi, Wimbledon è rimasto l’ultimo tempio erboso dei quattro Slam. Proprio questa unicità, così tenacemente custodita, contribuisce al suo fascino senza tempo.

Palline da Slam, nidi da campagna
Le palline, a Wimbledon, raccontano una storia di precisione e ritualità. Fornite dal Dunlop Slazenger Group, ogni anno ne vengono utilizzate oltre 54.000, tutte accuratamente controllate prima di entrare in gioco: il peso, la pressione, la densità del feltro, nulla è lasciato al caso.
Per garantire uniformità nei rimbalzi si conservano a una temperatura costante di 20 °C e sostituite regolarmente durante le partite. Ma la loro vita non finisce a bordo campo. Al termine del torneo, molte di queste palline diventano oggetti da collezione o vengono messe in vendita per scopi benefici, a sostegno della Wimbledon Foundation.
Alcune, però, prendono una strada diversa: da qualche anno, centinaia di palline usate vengono donate alle riserve naturali inglesi per diventare rifugi sicuri per i piccoli topi di campagna, i cosiddetti harvest mice. Con un taglio preciso e un po’ di manualità, i biologi le trasformano in minuscole tane sospese, protette dai predatori e resistenti alla pioggia.

Il falco solitario
Dal 1999, i campi perfetti di Wimbledon sono sorvegliati dall’alto da un custode d’eccezione: Rufus, un falco di Harris addestrato per tenere lontani i piccioni. Ogni mattina, prima che i cancelli si aprano, il suo volo discreto tra le tribune e sopra i campi garantisce che nessun volatile disturbi il rito del tennis.
Dipendente ufficiale della Avian Environmental Consultants, Rufus è diventato nel tempo una piccola celebrità del torneo con il proprio account Twitter da migliaia di follower, un badge personalizzato con il ruolo di “Bird Scarer” e persino una pagina Wikipedia. Nel 2012 fu rapito durante la notte da ignoti, e la sua sparizione scatenò un’ondata mediatica internazionale. Fu fortunatamente ritrovato tre giorni dopo, illeso.
Per diciassette anni ha sorvolato i cieli sopra il club, con un’efficacia tale da spingere gli organizzatori a pensare a una sua successione per mantenere viva la tradizione. Ma Rufus non ha discendenti e i tentativi più recenti di riproduzione non sono andati a buon fine. Lo ha rivelato il suo stesso falconiere, gettando qualche dubbio sul futuro di questo “family business” che la CEO dell’All England Club, Sally Bolton, aveva immaginato come un passaggio naturale di testimone.

Strawberries and cream
Ci sono profumi che raccontano un luogo prima ancora che lo si veda. A Wimbledon, è il profumo dolce delle fragole con panna a definire l’estate. Ogni anno se ne servono oltre 38 tonnellate, per un totale che sfiora i 2,5 milioni di frutti. La varietà scelta, la Malling Centenary, arriva ogni mattina dai campi del Kent ed è selezionata per il suo perfetto equilibrio tra acidità e dolcezza.
Le porzioni, dieci fragole con un velo di panna fresca, più simile a una crema fluida che alla nostra montata, costano £2,70, un prezzo che per anni è rimasto invariato, un gesto di rispetto verso la tradizione. Accanto a questo rito semplice e impeccabile, scorrono ogni giorno calici di Champagne: Lanson, fornitore ufficiale dal 2001, serve circa 17.000 bottiglie durante le due settimane del torneo.

Più di 150.000 bicchieri tintinnano tra tribune, terrazze e hospitality, spesso accompagnati da salmone affumicato o al vapore, di cui vengono servite quasi 12 tonnellate. C’è anche spazio per il celebre Pimm’s, cocktail britannico per eccellenza, con le sue note agrumate e leggere: se ne contano oltre 300.000 bicchieri l’anno.
E se il menù ufficiale racconta una tradizione di gusto e misura, non manca un tocco di libertà molto british. Ogni spettatore può portare con sé il proprio alcol. È consentita una bottiglia di vino o di champagne (massimo 750 ml), oppure due lattine di birra da 500 ml. I superalcolici, invece, sono vietati. E anche qui, tutto è regolato con discrezione
Quell’ananas sul trofeo…
Ci sono momenti, a Wimbledon, in cui il tempo sembra fermarsi. Uno di questi è quando il vincitore solleva il trofeo. Ma quel gesto, che dura pochi secondi, racconta più di un secolo di storia. Quello che i campioni stringono tra le mani non è un oggetto qualsiasi: è la Coppa d’argento dorato del singolare maschile, sormontata da un piccolo, curioso ananas; oppure il piatto inciso del singolare femminile, la Venus Rosewater Dish che si ispira ai motivi del Rinascimento inglese.
Eppure, nessuno dei due lascia mai davvero il tempio del tennis. I trofei originali restano al loro posto, nella club house dell’All England Lawn Tennis Club, intoccabili e intatti, protetti come reliquie. A ogni vincitore spetta una replica in scala ridotta: una copia identica nei dettagli, ma più piccola, alta 34 cm invece dei 47 della coppa originale.
Anche del piatto femminile, le vincitrici ricevono una versione perfettamente riprodotta. È su queste repliche che si incide, quasi in tempo reale, il nome del nuovo campione. Il trofeo resta lì, nella sua casa, mentre chi vince ne porta con sé solo l’eco. Quanto all’ananas, quel dettaglio che sembra fuori posto e invece è perfettamente Wimbledon.
Nel Settecento era simbolo di prestigio, esotismo e ricchezza. Un frutto raro, da esibire nei salotti e sui portoni delle ville aristocratiche. Così è rimasto lì, in cima alla trofeo, firma discreta di un torneo che fa dell’eleganza e della tradizione il suo segno più riconoscibile.
La partita più lunga della storia
Nel giugno del 2010, Wimbledon ha smesso di essere solo un torneo ed è diventato un’epopea. Sul campo 18, John Isner e Nicolas Mahut hanno dato vita alla partita più lunga della storia del tennis: 11 ore e 5 minuti di gioco effettivo, suddivisi in tre giorni, con un quinto set che da solo è durato 8 ore e 11 minuti, fino al surreale punteggio di 70 a 68, 183 giochi, 216 ace in totale.
Nulla rispetto al precedente record, un doppio tra McEnroe e Davis contro Gottfried e Ramirez, sempre a Wimbledon, nel 1982, che si fermava a 6 ore e 22 minuti. La partita tra Isner e Mahut è stata interrotta due volte per mancanza di luce. Non a caso, dal 2019, il regolamento è cambiato: nei set decisivi, raggiunto il 12-12, si gioca un tie-break a 10 punti.
Quella partita è destinata quindi a restare unica. Un ricordo che Wimbledon conserva con orgoglio e con una targa commemorativa: lì, tra i campi ordinati e il silenzio composto del pubblico, un giorno il tennis è diventato mito.
