
I dazi di Trump spaventano tutti. Mercati, economisti e cittadini. Ci sono dubbi sulla solidità dell’espressione usata per calcolare le tariffe e i risultati potrebbero essere opposti a quelli sperati dal tycoon. Secondo importanti istituti di ricerca economica le nuove imposte porteranno ad un aumento dell’inflazione, intorno al 2%, e ad una possibile recessione entro la fine dell’anno. Il Budget Lab dell’università di Yale ha definito questa mossa una «dei più grandi giochi d’azzardo della storia economica mondiale». Come evidenziato anche dal Wall Street Journal la nuova politica protezionistica porterebbe solo rischi all’economia del Paese e favorirebbe la Cina a limare la leadership economica americana.
Il calcolo dei dazi
Diversi economisti hanno ragionato sulla validità della formula utilizzata dagli uomini del Dipartimento del commercio per il calcolo delle nuove tariffe. Un lavoro complesso, che deve tenere conto di numerose variabili, è stato ridotto ad una, fin troppo semplice, espressione. Il deficit commerciale è stato preso come base per lo sviluppo del calcolo. Partire dalla bilancia commerciale esprime una supposizione problematica. Significa dire che gli Usa importano più da un paese di quanto esportino per pratiche commerciali sleali. Una relazione causale che non si può presumere ed è anche difficile da dimostrare.
Dagli annunci del Presidente americano le nuove tariffe dovevano essere calcolate considerando due fattori: le tariffe doganali applicate alle merci americane in entrata nel paese e i costi aggiuntivi derivanti dalle “barriere commerciali non tariffarie”. Quest’ultima è l’aspetto più complesso da calcolare e quantificare perché include tutti quei costi aggiuntivi che spaziano dalla burocrazia doganale alle norme che un prodotto deve seguire per conformarsi alle normative locali.
Portiamo l’esempio dell’Unione Europea per chiarire la questione. Gli Usa applicano un dazio del 3,3% alle merci europee che entrano nel paese, l’UE, invece, applica una tassa del 5% ai prodotti made in Usa. Per far valere il principio di reciprocità, vantato da Trump, il governo di Washington potrebbe compensare aumentando le tariffe al 5%.
Il calcolo dei costi non tariffari è molto più complesso e vario. In un rapporto, Mario Draghi ha evidenziato come l’eccessiva burocrazia europea causasse una tassa del 45% sui prodotti che si scambiano tra di loro. Trump ha dunque ragione quanto afferma che le aziende internazionali sono penalizzate ad operare sul mercato europeo. Ma è altrettanto vero che il dazio non risolve il problema, per cui sarebbe necessario un intervento legislativo che unifichi e armonizzi le regole.

La manipolazione monetaria
Ulteriore questione che si aggiunge è la manipolazione monetaria. Trump è sempre stato critico nei confronti di paesi come la Cina che operano per tenere artificialmente basso il valore della propria moneta. Il governo di Pechino ha l’interesse a mantenere il valore del renminbi inferiore a quello del dollaro o euro. In questo modo si incentivano gli acquisti dall’estero per la convenienza nel cambio. Si tratta di una pratica considerata sleale nel sistema internazionale degli scambi.
La risposta dei mercati
Anche a un giorno di distanza dal “Liberation Day” i mercati azionari mondiali soffrono ancora. Le borse asiatiche registrano perdite significative, il Nikkei 225 ha chiuso -2,75%, mentre la borsa di Hong Kong rimette l’1,44%. All’avvio delle contrattazioni in Europa l’indice Ftse mib cede il 2,66%, trascinata al ribasso dalla vendita dei titoli bancari. Più limitate le perdite del tedesco Dax -0,64%, e del listino parigino Cac40 -0,81% mentre Londra è di 2 punti percentuali in rosso. Anche i listini americani hanno sofferto Dow Jones (-3,98), Nasdaq (-5,97), S&P500 -4,84%.