«Siamo tutti d’accordo che vorremmo riaprire, ma io mi ritrovo di nuovo un reparto invaso da nuove varianti». A lanciare l’allarme è Massimo Galli, primario del reparto di malattie infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano. In Italia, infatti, le mutazioni del Covid-19 si stanno diffondendo sempre più velocemente.
Quella inglese, ad esempio, ha raggiunto l’88% delle regioni, dove rappresenta il 17,8% dei contagi registrati; entro la fine del mese diventerà predominante in Italia. A dimostrarlo sono i dati trasmessi dalla Puglia: dal 3 al 4 febbraio, difatti, i casi di variante inglese nella regione rappresentavano il 15,5% dei nuovi positivi. Nel giro di una settimana, invece, la percentuale è salita al 38,6%.
Ma la variante inglese non è l’unica a preoccupare. Proprio a Napoli, d’altronde, l’Istituto Pascale e l’Università Federico II hanno rinvenuto una nuova mutazione, mai registrata prima in Italia. Più resistente ai vaccini, la nuova variante si chiama B.1.525. Finora ne sono stati individuati 32 casi in Gran Bretagna e pochi altri in Nigeria, Danimarca e Stati Uniti.
Tornano le chiusure
Ecco che, al diffondersi delle varianti, potrebbe corrispondere una nuova ondate di chiusure. I primi governatori hanno già iniziato a muoversi: nelle Marche, Francesco Acquaroli ha dichiarato la provincia di Ancona zona rossa sino al 20 febbraio. In Lombardia, invece, la zona rossa – con annessa DAD – è stata istituita fino al 24 febbraio nei comuni di Viggiù (VA), Mede (PV), Castrezzato (BS) e Bollate (MI).
Ma è l’Umbria la regione più colpita dalle varianti, soprattutto quella inglese, che ha tinto di rosso l’intera provincia di Perugia. La gravità della situazione ha spinto il ministro della Salute Speranza a incontrare la governatrice Donatella Tesei, per discutere dell’andamento della curva epidemica umbra.
Test antigenici inaffidabili?
Speranza ha anche emesso una nuova circolare sull’utilizzo dei test antigenici perché le varianti potrebbero comprometterne l’efficacia, determinando dei falsi negativi. Alcune varianti, infatti, provocano una mutazione della proteina N, proprio quella che i test antigenici vanno a rilevare.
Si tratta, tuttavia, di un fenomeno piuttosto raro. A dirlo è Gianni Rezza, il direttore della Prevenzione del Ministero della Salute, che spiega come la maggior parte delle mutazioni agisca invece sulla proteina spike. Rezza, comunque, ha invitato a tenere alta l’attenzione: non è escluso, invero, che le varianti che incidono sulla proteina N possano diventare predominanti in futuro. Per tale ragione, ha concluso Rezza, l’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute rafforzeranno la sorveglianza sia microbiologica che epidemiologica.