Coronavirus e smart working, la rivoluzione all’improvviso nell’emergenza

Per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, il termine smart working sta entrando prepotentemente nelle nostre vite. In particolare in quelle di chi, lavorando da casa, può essere comunque produttivo per la propria azienda. Già, perché nelle zone arancioni, lo smart working è l’ancora di salvataggio soprattutto delle imprese più piccole. Nello specifico di tutte quelle che si occupano di servizi, e che possono garantire di gestirli anche da remoto.

Nel decreto firmato dal Premier Giuseppe Conte nella notte dell’8 marzo, si raccomanda ai datori di lavori pubblici e privati – nella zona arancione, quella che comprende Lombardia e altre 14 province – di promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti, dei periodi di congedo ordinario e di ferie. Accanto a questa eventualità, il Governo affianca le agevolazioni allo smart working, con misure in questo caso estese a tutta l’Italia.

I lavoratori della zona arancione

Sono dunque due le strade che si potrebbero aprire per i lavoratori della zona arancione: continuare a lavorare in remoto da casa o usufruire del congedo o delle ferie fino al 3 aprile. Un’eventualità quest’ultima, che per molti vorrebbe dire esaurire tutte le ferie dell’anno. In alternativa lo smart working sarà agevolato dal fatto che può essere attivato senza un accordo individuale in tutta Italia, almeno fino al prossimo 31 luglio.

Alcune aziende hanno iniziato subito non appena è scattata l’emergenza COVID-19 due settimane fa. Altre invece, specie quelle che già prevedevano almeno un giorno a settimana da remoto, sono passate al 100% delle ore lavorative. Si tratta ovviamente di settori dove lo smart working è applicabile al dipendente, come le banche o le società di consulenza. Il discorso rimane più complesso per tutti quei lavoratori che svolgono attività di presenza. E per non parlare ovviamente, dei liberi professionisti o dei gestori di attività, che in primis risentono delle ricadute dell’emergenza.

Smart working: Tra produttività e il fenomeno dell’always on

Il lavoro a distanza, reso possibile ovviamente grazie alla tecnologia, a prescindere dalla stretta utilità in questo periodo di emergenza, può essere vantaggioso sia per le aziende che per il dipendente. Il datore di lavoro ha meno problemi logicistici e anche i costi di gestione diminuiscono. I lavoratori invece, possono gestire in maniera più flessibile la loro giornata evitando anche gli spostamenti, a beneficio dell’ambiente.

Lavorare da casa non per forza però porta miglioramenti. Spesso il dipendente ammette di non essere produttivo al 100% proprio perché non inserito in un contesto lavorativo, nonostante i tanti studi svolti a dimostrare il contrario. Con il rischio concreto del fenomeno dell’always on: senza delle vere e proprie fasce orarie di disconnessione, si può entrare nel vortice della connessione permanente. Vanno ridefiniti in questo senso i confini della reperibilità del lavoratore. Alcuni gruppi tedeschi e francesi hanno già raggiunto accordi in tal senso e in Francia si sta discutendo di inserire il diritto alla disconnessione nell’ordinamento.

Esempi virtuosi

L’esigenza di adattarsi al problema è stata colta già da molte aziende. Eni sin dall’inizio dell’emergenza sta adottando la massima flessibilità. Il welfare del colosso italiana dà la possibilità di convertire parte del premio di partecipazione in Flexit Benefit, cioè servizi di assistenza ai familiari e di spesa a domicilio, venendo incontro al dipendente che deve stare a casa.

Anche Intesa San Paolo ha incrementato lo smart working. Sono 19mila i dipendenti in Italia a cui sono stati dati in dotazione PC per il lavoro. Ma se si cerca tra le grandi aziende di servizi ci si accorge che molte hanno abbracciato subito il lavoro agile. Alcune compagnie telefoniche hanno incentivato l’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza proprio per limitare gli spostamenti, lo stesso accorgimento adottato da Enel. Anche l’industria dell’abbigliamento non rimane ferma, Gucci e Armani e Tod’s optano per lo smartworking.

Non tutti sono smart

Quello a cui stiamo assistendo nel panorama delle imprese italiane, quindi, è un tentativo generale di fare di necessità virtù implementando il lavoro da remoto. Quest’emergenza sta dando un accelerata al fenomeno, ma va precisato che prima del Covid-19 l’Italia si stava già muovendo verso il lavoro agile. Negli ultimi mesi del 2019 l’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano aveva registrato che in Italia 570mila dipendenti lavoravano da remoto. Un aumento del 20% rispetto al 2018. Ma i numeri dicono anche che è una realtà ancora riservata delle grandi imprese. Sono il 58% i progetti strutturati in remoto per le GI, contro il 12% delle Piccole e medie imprese. Anche la Pubblica Amministrazione è molto bassa, con 16%, ma rispetto all’anno precedente ha raddoppiato i suoi progetti strutturati da remoto (8% per il 2018).

Sotto la media mondiale

Per quanto i numeri siano in rialzo, la diffusione dello smartworking in Italia è ancora inferiore rispetto alla media mondiale. Secondo l’11° edizione del The Iwg global workplace survey le aziende che nel mondo hanno una politica flessibile sono il 62%, contro il 59% italiano. A dare l’esempio sono la Germania (80%), Olanda (75%) e  Usa (69%).

Il controllo sul lavoratore

Nell’attuale situazione di emergenza, lo smart working rappresenta sicuramente la possibilità di mandare avanti le aziende, rispettando le misure previste per contrastare la diffusione del virus.

Ma proprio la frettolosità con cui si è cercato di attuare la conversione, costretti dalla situazione, può mostrare l’impreparazione da parte dei datori di lavoro.  La rivoluzione del contratto dello smartworking sta nel fatto che il dipendente non è più pagato in base al tempo ma alla prestazione e risultati. Non dovendosi più presentare a lavoro dalle 9 alle 17 può gestirsi come meglio crede. In questo caso la fiducia diventa un elemento ancora più importante nel rapporto tra dipendente e datore di lavoro. Al datore di lavoro è vietato l’uso di apparecchiature tecnologiche per controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente.

L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori impone che sia vietato l’utilizzo d software aziendali, webcam e altri dispositivi per monitorare le ore effettive di lavoro del cliente, sia la sua cronologia. La privacy del dipendente deve essere in buona sostanza rispettata. Questo non vuol dire che ci sia un divieto assoluto di controllo, questi sono permessi qualora il datore di lavoro sospetti che ci siano stati degli illeciti. Gestire una situazione nuova così in fretta e tutto insieme non è affatto semplice.

2 mln di finanziamenti

Quali che siano i limiti dovuti alla fretta di implementarlo, lo smartworking per adesso rimane la soluzione migliore per far andare avanti le imprese durante il Coronavirus. La regione Lazio, infatti ha deciso di stanziare 2 milioni di euro per favorire lo smart working, lo ha annunciato il presidente Nicola Zingaretti.

«Il bando – chiariscono gli assessori al Lavoro e nuovi diritti, Claudio Di Berardino, e allo Sviluppo Economico, Commercio e Artigianato, Ricerca, Start-up e Innovazione Paolo Orneli – sarà rivolto a tutti i datori di lavoro iscritti alla Camera di Commercio o in possesso di partita IVA e con almeno 3 dipendenti. Il finanziamento potrà essere utilizzato sia per servizi di consulenza e formazione finalizzati all’adozione di un piano di smart working, sia per l’acquisto di strumenti tecnologici per l’attuazione del piano di smart working aziendale. L’investimento, passata questa fase, rimarrà comunque un valido progetto, capace di incrementare la produttività delle imprese e migliorare il benessere dei lavoratori anche attraverso una maggiore conciliazione dei tempi di vita e lavoro».

Solidarietà digitale

Il Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione intanto, sta promuovendo un’iniziativa di solidarietà digitale per chi si trova nelle zone interessate dal decreto. Sono tante le aziende, le associazioni e le start-up che hanno risposto all’appello del Ministro offrendo una serie di servizi  utili e gratuiti a cui aderire. Si va dalla connessione a internet, agli abbonamenti gratuiti di riviste e giornali, fino all’accesso a portali e piattaforme video o di e-book.

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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