COP30 IN BRASILE: VERSO IL RICONOSCIMENTO DELLE TERRE INDIGENE

I popoli indigeni brasiliani vedono un barlume di speranza per il rafforzamento del loro diritto territoriale. Il governo di Brasilia ha riconosciuto come proprietà indigena dieci territori del Paese, per un totale di 160 milioni di ettari entro i prossimi cinque anni. L’annuncio è stato fatto durante la COP30, Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si sta svolgendo a Belem, dopo le proteste di alcuni attivisti e abitanti.

La novità alla COP30
Luiz Inácio Lula da Silva, attuale presidente del Brasile

Per l’attuale governo di Luiz Inácio Lula da Silva il riconoscimento assume una valenza simbolica: offrire sicurezza giuridica alle aree occupate e rivendicate da comunità ancestrali. Ma è solo l’inizio di un lungo processo. Ad oggi le terre indigene rappresentano un milione e 174 mila chilometri quadrati. Nei prossimi mesi inizierà la fase di “demarcazione” in cui verranno definiti fisicamente i confini dei territori promessi. Se poi verranno approvati dal presidente, le popolazioni vedranno riconosciuti loro alcuni diritti, in particolare la possibilità di decidere sullo sfruttamento minerario o agricolo del territorio.  

In ambito politico

Il riconoscimento dei territori indigeni è anche centrale nel dibattito politico brasiliano. Il governo di Lula preme per la demarcazione dei confini per una maggiore tutela all’ambiente. Mentre per l’ex presidente Jair Bolsonaro il tema non era centrale e durante il suo mandato non riconobbe nessun territorio indigeno e i loro diritti vennero spesso trascuri. La COP30 è stata l’occasione per rimarcare le esigenze di queste popolazioni, che da anni lottano per far valere i loro diritti. L’obiettivo del vertice, infatti, è da sempre occuparsi dei temi ambientali. Per esempio l’aumento delle temperature globali, l’arresto della distruzione delle aree verdi e la riduzione delle emissioni derivante proprio dalla deforestazione.

Le popolazioni indigene alla COP30 a Belem
Una situazione insostenibile

Per i gruppi ambientalisti la situazione del Sud America è allarmante. Nel 2024, il numero di incendi boschivi che hanno colpito foreste tropicali ha raggiunto tassi mai visti prima e il Brasile ha rappresentato il 42% dei 6,7 milioni di ettari andati a fuoco. Un record in negativo tracciato dalla ONG ambientalista World Resources Institute (WRI). Nonostante le promesse del governo, per gli indigeni non è stato fatto abbastanza. Per questo durante la COP30 i manifestanti per i clima e le popolazioni indigene hanno lanciato un appello di aiuto per risolvere la situazione degli incendi boschivi attraverso maggiori finanziamenti.  Al grido di slogan come «Non smetteremo di lottare. Combatteremo fino alla morte», le comunità indigene hanno marciato verso Belem e un gruppo di Munduruku ha bloccato l’entrata della COP30, mantenendo però un clima pacifico.

La protesta degli indigeni

I manifestanti, in particolare, hanno protestato per denunciare la loro esclusione dalla “Zona Blu” della Cop30. Momento in cui i governanti hanno affrontato l’agenda ufficiale e a cui le popolazioni avrebbero dovuto partecipare in qualità di diretti interessati. «Non c’è soluzione al cambiamento climatico che non includa la partecipazione dei popoli indigeni» ha detto al New York Times la ministra dei Popoli indigeni del governo del Brasile Sônia Guajajara, Le rivendicazioni erano precise: il diritto di demarcazione, avere una maggiore protezione legale e porre fine ai prestiti bancari dell’agrobusiness. Questi finanziamenti, riservati alla coltivazione della soia e dell’allevamento di bestiame, rappresentano un bottino d’oro per gli investito. Nonostante ciò, sono anche i principali colpevoli della distruzione delle terre indigene.

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