La Cop29 è ufficialmente terminata. Dopo il prolungamento delle trattative, che si sono trascinate sino alle prime ore di domenica 24 novembre, la conferenza sul clima si è conclusa con una cifra che prova a catturare l’attenzione: 1300 miliardi di dollari di aiuti all’anno per i Paesi in via di sviluppo fino al 2035.
Solamente 300 miliardi, però, arriveranno come prestito a basso tasso d’interesse, l’alternativa più necessaria per promuovere la transizione green.
L’accordo
Obiettivo generale di 1300 miliardi, dunque. Provenienti dal pubblico e dal privato. Un’ambizione che, seppur astratta, viene per la prima volta incisa su carta.
Salgono le polemiche, però, per i prestiti più attesi, ovvero quelli a basso tasso di interesse. Di 1300 sono solamente 300 quelli che verranno erogati in questa formula. Una cifra che, comunque, alza l’asticella rispetto ai 100 miliardi che, con gli Accordi di Parigi, si era deciso di destinare ai paesi più vulnerabili.
C’è poi un risultato tecnico: l’approvazione dell’articolo 6 degli Accordi di Parigi, inerente allo scambio internazionale dei crediti di carbonio, associati ad attività di mitigazione di vario tipo. Chi emette più gas serra dovrà comprare crediti per compensare, mentre chi crea progetti per rimuovere anidride carbonica potrà vendere. Si intravede così la strada da seguire per la risoluzione di uno dei temi più complessi legati al clima.
Nel testo finale, alcune aspettative non trovano riscontro. A proposito di numeri, nell’accordo non viene mai menzionata la soglia di surriscaldamento da non superare di +1,5 °C per evitare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici.
Un altro fattore che non passa inosservato è il tentativo, da parte dell’Arabia Saudita, di provare a modificare all’insaputa di tutti il testo finale (modificabile solo dal paese ospitante). Ma anche l’opposizione della Cina nel raccogliere la responsabilità dei finanziamenti ai Paesi vulnerabili, nonostante si tratti del Paese con i valori più alti di emissione di gas serra.
Nella versione definitiva dell’accordo è stata cancellata la parte dedicata al Global Stocktake: una rendicontazione dei progressi di ciascun Paese nella riduzione delle emissioni, di cui si riparlerà nel 2025 a Belèm, con la Cop30.
Ma una nota di novità, che per alcuni è la grande macchia di Baku 2024, riguarda la sparizione del “transition away” dalle fonti fossili, ossia l’allontanamento graduale da petrolio e carbone. Il concetto rientrava nel documento finale della Cop28 di Dubai, ma l’epilogo in Azerbaigian si dimentica di questo punto.
Le reazioni politiche
“Speravo in risultato più ambizioso” commenta Antonio Guterres, come riportato da Sky tg 24. E aggiunge: “L’accordo fornisce una base su cui costruire”. Il Can, la principale rete di Ong, parla addirittura di “tradimento”.
Per l’inviata dell’india Chandni Raina, «il risultato mette in evidenza la mancanza di volontà dei Paesi sviluppati di assumersi le proprie responsabilità». E definisce il documento “un’illusione ottica”.
Per Wopke Hoekstra, commissario europeo per l’azione per il clima, l’Unione Europea non ha ottenuto quello che voleva sul taglio delle emissioni di gas serra. «È meno di quanto avremmo voluto, ma è meglio di quanto temevamo».
Mentre, per la Nigeria, i 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 sono una «barzelletta».
A cura di Riccardo Severino