«Il cinema è di impronta maschile». Sono le parole di Marina Spada, regista, sceneggiatrice e docente alla Civica Scuola di Cinema a Milano. Durante un incontro con i ragazzi del Master in giornalismo dell’Università IULM, ha raccontato la sua esperienza come professionista e come donna all’interno dell’industria cinematografica.
Nel 2006 il suo lungometraggio Come l’ombra viene presentato con successo al Festival del Cinema di Venezia. «È stata la mia più grande soddisfazione professionale. Mi sono messa a piangere, perché non c’erano più mia madre e mio padre. Mi sono resa conto che per tutta la vita ho fatto questo per dimostrare a loro che ce l’avrei fatta e nel momento in cui sono arrivata all’apice della mia carriera, loro non potevano essere con me».
In tutte le sue pellicole Marina Spada pone al centro della narrazione la figura della donna moderna e indipendente mostrandone la complessità nella vita di tutti i giorni. Coprotagonista è sempre la città di Milano, luogo natale in cui si è formata e a cui è profondamente legata nonostante la breve parentesi romana. Nel 1979 inizia la sua attività come assistente alla regia in Rai e nel 1984 collabora alla realizzazione del film Non ci resta che piangere, con Roberto Benigni e Massimo Troisi.
In una sua intervista ha detto che non è stata un’esperienza che l’ha soddisfatta in pieno, perché il modo di lavorare a Roma era maschilista. È ancora così? Che differenze ci sono tra fare cinema a Roma e farlo a Milano?
C’è un motivo storico. Se c’è una cosa vicina all’organizzazione militare, è il cinema. Ci sono diversi reparti, ognuno ha il proprio responsabile. L’aiuto regista parla con i capi-reparto, che parlano con i tecnici dei loro settori e comunicano le varie direttive. Il problema fondamentale è che a Roma si tende a dare più credito a uno sguardo maschile piuttosto che femminile. Anche io mi sono trovata in questa situazione, dando più fiducia a un uomo, in quanto uomo, che a una donna nonostante questa avesse un ottimo curriculum. È una questione culturale, non naturale. A Milano è diverso perché non esistono precedenti. Il lavoro viene impostato da chi lo pensa.
Ha mai pensato per un progetto futuro di uscire da questa realtà e fare un film fuori Milano, magari all’estero?
No, non ci ho mai pensato perché conosco i miei limiti. Non ho più trent’anni e non sarebbe facile per me dare un taglio radicale alla mia vita. Ho pensato più volte di andare a Roma perché l’industria cinematografica si trova là ma non l’ho mai fatto. Credo sia un grave errore da parte della Rai aver chiuso i ponti con la sede di Milano. Era un luogo in cui molti professionisti hanno avuto l’opportunità di formarsi e così facendo non è stato possibile scovare nuovi talenti milanesi. Per quel che ne sappiamo potrebbe esserci un nuovo Michelangelo Antonioni in provincia di Chieti e nessuno lo sa.
Perché nei suoi film dà molta importanza allo sguardo e al pensiero femminile?
Non per una motivazione ideologica ma per una scelta interiore. Mi piace raccontare il quotidiano di una donna perché è la realtà che conosco e che vivo in prima persona, anche se non succede niente di particolare.
Qual è il personaggio a cui è più affezionata?
Monica de Il mio domani, interpretata da Claudia Gerini. Claudia è una persona veramente fantastica. Umanamente meravigliosa, mi ha dato tanto.
Come vede il futuro della cinematografia in Italia?
Da un lato si svilupperanno molto le serie televisive su piattaforme come Netflix e Amazon Prime Video, ma l’Italia deve diventare più competitiva. Attualmente l’unico regista che ritengo all’altezza del mercato è Paolo Sorrentino. Il suo lavoro ha fatto da apripista nel modo di raccontare il nostro Paese. Dall’altro lato il cinema diventerà sempre più d’autore, anche se i budget a disposizione sono sempre inferiori e così anche gli incassi.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Attualmente con l’attività di produzione di film mi sono un po’ fermata, ma di progetti in cantiere ne ho tanti. Spero di realizzare un prossimo lungometraggio: negli ultimi tre anni ho lavorato alla stesura del soggetto con una mia ex allieva, con la quale ho firmato un contratto di intenzione.