È il 10 maggio 1924, al via la prima tappa della dodicesima edizione del Giro d’Italia. Alfonsina Morini – coniugata Strada – inforca la sua bicicletta e lascia a bocca aperta il mondo dello sport. L’atleta emiliana è la prima (e unica) donna a partecipare alla competizione e a gareggiare con gli uomini, diventando pioniera del ciclismo e simbolo della lotta per l’emancipazione femminile.
Il diavolo in gonnella
Alfonsina, pioniera del ciclismo femminile e, in generale, della parificazione di genere nello sport, nasce nel 1891 a Castelfranco Emilia, paese della campagna bolognese. È la seconda di dieci fratelli di un’umile famiglia contadina. Nel 1901, quando ha 10 anni, suo padre si procura una vecchia bicicletta, sulla quale Alfonsina muove le sue prime pedalate. La passione della bambina per le due ruote cresce, chilometro dopo chilometro, e prima dei 14 anni Alfonsina ha già partecipato a diverse competizioni sportive locali. Qualche anno dopo, nel 1911, la bambina, ormai diventata donna, stabilisce il record mondiale di velocità femminile – 37km/h -, conquistandosi anche il caratteristico soprannome di diavolo in gonnella.
L’ostacolo più grande all’ascesa sportiva di Alfonsina sono i pregiudizi e le malelingue che le donne cicliste sono ancora costrette a sopportare che, però, nel suo caso, arrivano dalla sua famiglia. I suoi genitori non vedono di buon occhio il suo amore per la bicicletta e le impongono un aut aut: per poter correre deve sposarsi e andarsene di casa. Ed è proprio nel matrimonio che Alfonsina trova il supporto che le serve per consacrarsi. Il marito meccanico, Luigi Strada, la sprona a continuare, regalandole per le nozze una nuova bicicletta da corsa e seguendo i suoi allenamenti.
I due, quindi, si trasferiscono a Milano e qui, nel 1917, per Alfonsina arriva la prima grande occasione. A causa della prima guerra mondiale tutte le manifestazioni sportive vengono annullate. Tutte tranne il Giro di Lombardia. La ciclista si iscrive e per la prima volta compete in una gara ufficiale contro gli atleti di sesso maschile. Nel 1924 la decisione di riprovarci al Giro d’Italia.
L’iscrizione al Giro d’Italia
3618 km di strade bianche suddivisi in 12 tappe da percorrere, tra le buche e la polvere o in balia delle intemperie, su pesanti bici – circa 20 kg – senza cambio. Questo è il Giro d’Italia nel 1924. Anno in cui la competizione viene boicottata da diversi campioni per ragioni economiche e che, quindi, apre le porte anche ai ciclisti senza squadra. È così che Alfonsina Strada riesce a iscriversi. Ma il suo nome non appare nell’elenco dei partecipanti nei giorni precedenti alla competizione, forse per evitare scandali. Anche alcuni degli organizzatori della gara sono contrari alla sua partecipazione. Temono che il Giro d’Italia possa perdere credibilità. Nell’elenco pubblicato da La Gazzetta dello Sport tre giorni prima della partenza, Alfonsina figura come “Alfonsin Strada di Milano”. Il Resto del Carlino scrive direttamente “Alfonsino”.
Alfonsina Strada (1891-1959), who cycled the Giro d’Italia defying her parents, her society and her sport at the Giro d’Italia in 1924, she rode all 3,613km of the Grand Tour 🚲 #WomensSport #WomensArt pic.twitter.com/TvFfl20DFt
— #WOMENSART (@womensart1) July 28, 2021
Le prime tappe
Ma con il numero 72 sulla schiena e lo stupore di tutti al seguito, la ciclista ottiene risultati considerevoli, chiudendo anche davanti a molti atleti, soprattutto durante le prime tappe: Milano-Genova, Genova-Firenze, Firenze-Roma e Roma-Napoli. Tappa dopo tappa, Alfonsina conquista tutti e, ogni volta, viene accolta in trionfo, ricevendo in premio regali, fiori e persino soldi. Dopo la terza tappa, chiusa dalla donna due ore e mezza dopo il vincitore, un ufficiale a cavallo inviato dal re Vittorio Emanuele III le consegna un mazzo di rose e una busta contenente 10.000 lire.
«La popolarità di questa donnina si è fatta più grande di quella di tutti i campioni assenti messi insieme. Lungo tutto il percorso della Genova-Firenze non si è sentito che chiedere: – C’è Alfonsina? Viene? Passa? Arriva?» Così scrive il giornalista Silvio Zambaldi, sul La Gazzetta dello Sport, dopo le prime due tappe, continuando: «A mortificazione dei valorosi che si contendono la vittoria finale, è proprio così. È inutile, tira più un capello di donna che cento pedalate di Girardengo e di Brunero».
Le difficoltà e l’arrivo
Sono i 296 km tra l’Aquila e Perugia, l’ottava tappa, a mettere in ginocchio Alfonsina che soccombe non tanto alla fatica, ma al meteo avverso. Le buche e le condizioni della strada la fanno forare più volte. Pioggia e vento la fanno cadere. Il manubrio della sua bici si rompe. Ma la ciclista non si ferma, lo ripara con un manico di scopa e riparte. Arriva a Perugia in piena notte e fuori tempo massimo.
Ma l’allora direttore de La Gazzetta dello Sport Emilio Colombo capisce l’importanza e la singolarità dell’impresa che Alfonsina sta compiendo e le permette di continuare il Giro, anche se non più formalmente in gara, pagandole di tasca propria alloggi e massaggiatori. La ciclista, alla fine, è tra i 30 atleti, a fronte di 90 partenti, che riescono a rientrare a Milano.
Dopo il Giro
Negli anni successivi, ad Alfonsina non viene più consentito di partecipare al Giro d’Italia, ma lei continua comunque a seguirlo per lunghi tratti da sola.
Nel frattempo, la ciclista sfrutta la fama e la popolarità ottenuta partecipando a diversi varietà in giro per l’Europa e va in turneé in Spagna, Lussemburgo e Francia.
Nel 1934 partecipa, all’età di 43 anni e con il club Montmartre Sportif, al primo campionato del mondo femminile non ufficiale, chiudendo quindicesima.
Ma tra i suoi risultati sportivi più rilevanti, c’è il successo sulla campionessa francese Robin, ottenuto nel 1937 a Parigi, e la conquista, nel 1938 a Longchamp, del record dell’ora femminile non ufficiale con 35,28 km.
Alfonsina rimane vedova e si risposa con l’ex ciclista Carlo Messori, con il quale apre un’officina al civico milanese di Via Varesina 80.
E il resto è storia. Storia del nostro Paese e delle sue lotte femministe. Storia dello sport che, però, in tema di parità nell’agonismo, ha ancora molti chilometri da bruciare e gare da vincere.