La Corte d’Assise di Roma ha confermato le motivazioni della sentenza sul caso Cucchi, con cui sono stati condannati lo scorso 14 novembre i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 12 anni per omicidio preterintenzionale. Oltre a questi, la condanna ha colpito anche il maresciallo Roberto Mandolino (3 anni e 8 mesi) e Francesco Tedesco con 2 anni e 6 mesi per falso.
Secondo i giudici della corte d’Assise di Roma, a portare alla morte il 29enne sarebbero stati eventi traumatici avvenuti a seguito dell’arresto, ovvero una lesione del midollo spinale «tale da determinare un’aritmia letale». Infatti, la giuria ha affermato che Cucchi aveva vissuto «sino alla sera del 15 ottobre 2009, in una condizione di sostanziale benessere».
Come afferma la Corte, la morte di Cucchi è stata il risultato di «una catena causale che parte, dunque, da un’azione palesemente dolosa illecita che ha costituito la causa prima di un’evoluzione patologica alla fine letale». Secondo quanto affermato dai giudici, il fatto si sarebbe tenuto in tarda serata e in un punto della caserma irraggiungibile da estranei. In più, la miniatura di Cucchi era decisamente più minuta di quella dei due militari. Una concatenazione di fattori che andrebbero in contrasto con l’ipotesi di morte improvvisa per epilessia, già smentita da alcuna evidenza clinica, come scrivono i giudici.
Da qua è arrivata la condanna ai due carabinieri. «E’ indiscutibile che la reazione tenuta da Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo sia stata illecita e ingiustificabile. Un’azione violenta nel corso dello svolgimento del servizio d’istituto, per un verso facendo un uso distorto dei poteri di coercizione , per altro aspetto violando il dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo».
La Corte, presieduta da Vincenzo Capozza, ha evidenziato la «scarsa trasparenza e collaborazione per l’accertamento della verità» da parte dell’Arma dei Carabinieri. Eppure, al tempo stesso, ad aiutare i giudici è stata anche la confessione del carabiniere Tedesco, il primo a raccontare del pestaggio. «Ha spiegato in modo comprensibile e ragionevole il suo pregresso silenzio» dichiara la Corte, riscontrando nel “muro” issato dai suoi superiori la causa dell’omertà che aveva lo scopo di «non far emergere l’azione perpetrata ai danni di Cucchi, e a non perseguire la volontà di verificare che cosa fosse realmente accaduto».