Calciopoli, 18 anni dall’impero Moggi

Nel luglio 2006, al grido “Il cielo è azzurro sopra Berlino”, milioni di italiani festeggiarono la vittoria del quarto Mondiale, quasi dimenticando che appena due mesi prima il panorama calcistico italiano fu scosso dal più grande scandalo sportivo nazionale: Calciopoli.

La pagina nera del calcio azzurro venne alla luce il 2 maggio 2006, quando le indiscrezioni sulla presunta corruzione degli arbitri trovarono fondamento nell’indagine avviata dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC). Dalle intercettazioni emersero svariati nomi: dall’ex designatore arbitrale Pierluigi Pairetto, al direttore generale della Juventus Luciano Moggi, dall’ex amministratore delegato bianconero Antonio Giraudo, all’allora vicepresidente della FIGC Innocenzo Mazzini. Ma a essere indirizzate non furono esclusivamente le partite. Commenti, analisi tecniche e tutto ciò che girava intorno al calcio vennero manipolati. Così si scoprì che la vicenda Calciopoli comprendeva anche giornalisti e opinionisti. Aldo Biscardi del Il processo di Biscardi, Ciro Venerato e Ignazio Scardina di Rai Sport e Guido D’Ubaldo del Corriere dello Sport furono solo alcuni dei volti e delle firme che fecero parte del cosiddetto “sistema-Moggi”.

Le indagini

Per smascherare quella che venne definita in due separati giudizi “un’organizzazione a delinquere” ci vollero anni. Come racconta il Pm Giuseppe Narducci, «l’investigazione iniziò nell’ottobre 2004, mentre gli interrogatori nel maggio 2006. Nel 2004 l’attività dell’associazione era già in una fase fortemente dinamica. I fatti emersi ci fecero ritenere che la struttura organizzativa non nacque improvvisamente. In realtà affondava le radici in fatti e comportamenti che risalivano ad anni precedenti, probabilmente già dal 1999».

Prima pagina Gazzetta dello Sport 7 novembre 2009

L’indagine permise di capire come «la falsificazione dei risultati fu programmata e realizzata con continuità». Tra telefonate criptiche, incontri segreti e sorteggi truccati, gli inquirenti scoprirono un quadro di corruzione e omertà diffusi. Difatti, affinché il sistema-Moggi funzionasse, fu necessaria una collaborazione tra più parti.

L’alterazione dei sorteggi

Questa risultò evidente nella manipolazione dei sorteggi di inizio stagione, evidentemente influenzati nonostante la presenza di notai e giornalisti selezionati. «Tutti i testimoni ascoltati per indicazione delle difese sostenevano che non fosse mai accaduto nulla di particolare o irregolare. Ma queste dichiarazioni erano decisamente contrastate da elementi di prova che dimostrano come i sorteggi venivano alterati» racconta Narducci.

Per esempio, nel verbale redatto dal notaio Tommaso Tavazzi il 13 maggio 2005, i sorteggi di Coverciano si svolsero senza alcuna irregolarità. Eppure, le cose andarono diversamente. Dalle note e dalle foto scattate dalla polizia giudiziaria si scoprì che le sfere di metallo collocate nelle urne non vennero rimescolate. Anzi, se per errore si aprivano queste venivano reinserite nello stesso identico posto rispetto a dove erano state prelevate. Una casualità che, probabilmente, tanto casuale non era. Inoltre, secondo l’accusa, le sfere erano riconoscibili tra loro, identificabili attraverso elementi di tipo materiale come scoloriture, graffi, incisioni e tracce più o meno forti di usura.

Le intercettazioni

La trama si infittì quando le intercettazioni telefoniche diventarono il principale strumento di investigazione, rivelando conversazioni clandestine tra dirigenti, arbitri e designatori, spesso chiamati con soprannomi degni delle grandi gang della malavita. I coinvolti infatti comunicavano tra loro attraverso cellullari con schede segrete estere, tutte non rintracciabili e non intestate, sebbene acquistate dal “Numero due” Luciano Moggi.

«In assenza di dati che permettevano di verificare il nome dell’utilizzatore abbiamo fatto ricorso a un criterio: il collegamento fra l’utenza straniera di cui si cercava di scoprire l’utilizzatore e l’ambito territoriale nel quale la persona sospettata viveva o lavorava. Per le persone intercettate abbiamo esaminato i tabulati che permettevano di individuare con esattezza la cella agganciata dal telefono intercettato nel momento in cui veniva utilizzato per una conversazione. Confrontando tabulato tra SIM italiana e SIM straniera abbiamo così constatato che in diverse occasioni gli imputati usavano il proprio telefono per una conversazione e, nello stesso luogo, usavano la scheda straniera per altre chiacchierate». Non un caso, quindi, che spesso gli interlocutori si dessero appuntamento su un altro telefono o facessero riferimento a discorsi già avviati su altri canali di comunicazione.

Il sodalizio

Tuttavia, è interessante notare che le conversazioni non si limitarono a canali virtuali. «Un’altra delle modalità utilizzate dagli imputati e che ha permesso di attribuire a questo gruppo il carattere di sodalizio (ex art. 416 Codice penale), è quello che riguardava lo svolgimento di tanti incontri riservati». Tutte le quattordici riunioni si svolsero nella massima riservatezza, sia a livello organizzativo sia nello svolgimento. A queste si aggiungevano poi innumerevoli incontri personali tra Moggi e i suoi “scagnozzi”, come quello del 21 settembre 2004 a casa di Giraudo.

L’ex amministratore delegato Antonio Giraudo (a sinistra) e l’ex direttore generale Luciano Moggi (a destra)

Qui Moggi e Pairetto si riunirono per parlare di tre argomenti di grandissima rilevanza: le griglie arbitrali, i sorteggi del campionato e la collaboratrice Maria Grazia Fazi, colei che fino all’estate dello stesso anno si occupò delle operazioni di sorteggio. Allontanata poiché sospettata di doppiogiochismo a favore del Milan (diretto concorrente della Juventus nella lotta scudetto), la donna appariva ora come una grandissima minaccia, in quanto pronta a raccontare la verità in tribunale.

Le intimidazioni

Lavorare al di fuori del sistema-Moggi sembrava quindi impossibile. Chiunque si metteva contro Lucianone, o più banalmente non si schierava dalla sua parte, poteva dire addio alla carriera. Una vera e propria violenza intimidatoria, attuata indistintamente ai danni di arbitri e dipendenti di carta e televisione. Nel primo caso, i direttori di gara avanzavano o meno in carriera nella misura in cui l’arbitraggio era a favore dei bianconeri o a squadre a essa legate. Trascurare qualche fallo o punirne altri diventava motivo di premi o punizioni da parte del dirigente della Juventus. Stesse sorti per i giornalisti, che non venivano scelti per capacità ma per disponibilità a commentare un determinato fatto, compiacendo così Moggi.

Le condanne

L’impero del “Numero due” cadde solo il 14 luglio 2006, quando Moggi, Giraudo e Mazzini vennero condannati a cinque anni di inibizione e preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC dalla Corte Federale. Inutili gli appelli dei deferiti, con la Corte di giustizia federale che il 15 giugno 2011 convalidò le sanzioni stabilite in primo grado.

Moggi in tribunale per il processo su Calciopoli

L’anno seguente fu poi il turno dell’Alta corte di giustizia del CONI, che confermando la radiazione pose fine all’iter sportivo. Vani anche i ricorsi presentati in sede amministrativa nell’ultimo decennio, con il più recente dichiarato inammissibile appena il 21 marzo scorso. A distanza di quasi diciott’anni, Calciopoli non smette di essere un capitolo aperto del calcio italiano.

Elena Cecchetto

📍Milano 👩🏼‍🎓Comunicazione, Media e Pubblicità ⚽️ Quando lavoro mi trovi allo stadio, quando non lavoro pure

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