Giorgia Meloni e Matteo Salvini c’erano già da tempo. Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi vi sono approdati per l’occasione. Le elezioni del 25 settembre scorso hanno fatto registrare il boom della politica su Tik Tok. A suo modo, ogni leader ha deciso di giocare la carta del digitale per entrare in contatto con una fetta di elettorato che riteneva irraggiungibile con i mezzi tradizionali: comizi, manifesti, tv o carta stampata. Tuttavia, la presenza sulla piazza digitale rischia di creare illusioni sul consenso reale che poi emergerà dalle urne, soprattutto sul social cinese.
Giacomo Mannheimer, responsabile delle relazioni istituzionali di Tik Tok per l’Europa meridionale, durante un incontro con gli studenti dell’università IULM, ha spiegato che l’algoritmo della piattaforma di contenuti consente di costruirsi un network e una community in poco tempo, a differenza di quello che succede negli altri social. Di conseguenza, «non si possono trattare visualizzazioni e likes come sondaggi», perché sono potenzialmente molto volatili, dipendenti dai contenuti che si pubblicano e da come questi vengono confezionati. Proprio per questo, «il lavoro del social media manager di un politico è molto complicato da fare su Tik Tok – ha commentato Mannheimer – Soprattutto è difficile evitare l’utilizzo di metriche sbagliate». La canzone di sottofondo, gli hashtag, la durata del video possono infatti fare la differenza su quanto l’algoritmo promuove il video nella sezione dei “Per te” degli utenti.
Come i politici italiani hanno usato Tik Tok
Tra le presenze di più lunga data, durante la campagna elettorale, Meloni e Salvini si sono distinti per un ottimo utilizzo della piattaforma. La prima, dice Mannheimer, «lo ha usato in modo perfettino, scolastico. Difficile commentarla perché non ha note caratteristiche particolari». Diversamente, il leader della Lega ha esplorato uno strumento prima poco diffuso su Tik Tok: le live. Tutti i giorni (o meglio le notti), tra le 23 e le 3, lo si poteva trovare in diretta per almeno un’ora a salutare gli utenti, usare filtri di occhiali e cappelli, parlare del suo programma.
Della coalizione di centrodestra, impossibile non nominare Silvio Berlusconi che con l’ormai famigerato “Tik Tok…tac” ha fatto numeri incredibili. Dopo la sua “discesa in campo” sulla piattaforma, nuove utenze, ingressi di profili ormai in disuso, visualizzazioni, likes sono aumentati tanto, e in poco tempo, che il responsabile global di Tik Tok ha chiamato Mannheimer chiedendogli spiegazioni. Secondo quest’ultimo, l’autenticità e la naturalezza sui generis del Cavaliere sono la chiave del suo successo.
Parole di elogio sono arrivate anche per Giuseppe Conte, che ha dimostrato «una buona conoscenza del funzionamento dell’algoritmo». Il leader dei 5 Stelle ha concentrato la sua comunicazione sul “dietro le quinte” della sua campagna elettorale. Si è fatto ritrarre in strada, a parlare con la gente, prima e dopo i comizi. In questo modo, ha assecondato un filone contenutistico già molto presente sulla piattaforma, dove aspetti sconosciuti, segreti o semplicemente poco noti dei grandi eventi riscuotono sempre un forte interesse.
Rimandato a (un eventuale prossimo) settembre, Matteo Renzi. Era partito bene, secondo Mannheimer, con un video di 1 minuto e 30 secondi in cui ironizzava sulle sue figuracce in politica. Poi però ha continuato rispondendo soprattutto ai commenti e cercando di imporre le sue modalità di comunicazione. Una strategia che ha funzionato meno bene rispetto a quelle dei suoi concorrenti, perché focalizzata più su lui stesso che sull’algoritmo.
Non ci sono modi per capire il ritorno elettorale dei contenuti su Tik Tok
Tik Tok in Italia conta 14 milioni di utenti. Nonostante molti siano profili di istituzioni o associazioni, si può stimare che sulla piattaforma ci siano più di 10 milioni di persone. Il 67% di queste ha più di 25 anni, con una concentrazione particolare fino ai 35. Circa il 30% sono minorenni, mentre gli over 40 sono pressoché inesistenti. Un’audience forse meno giovane di quanto comunemente si pensa, ma comunque importante perché corrisponde alle fasce d’età dove l’astensionismo è maggiore.
Il problema, come sottolinea Mannheimer, è che «gli account dei politici sono uguali a quelli delle persone comuni. Non hanno modi per calcolare il reale ritorno elettorale dei numeri che fanno i loro contenuti». Tik Tok fornisce infatti degli analytics, ma solo per le inserzioni (sulla piattaforma non sono permessi contenuti a pagamento di argomento politico).
D’altra parte, segnali positivi vengono dall’engagement creato dai video dei leader, che come ordine di grandezza raggiungono in media le centinaia di migliaia di visualizzazioni, di contro alle centinaia della maggior parte dei contenuti. Segno che comunque l’argomento interessa e che, secondo Mannheimer, come strategia di lungo periodo, la presenza dei politici su Tik Tok potrebbe portare un giorno a dei risultati veramente tangibili.