A Francoforte si è conclusa nel pomeriggio – 16 dicembre – l’attesa riunione del Consiglio direttivo della Bce. Al centro del tavolo il prossimo futuro della politica monetaria europea che, da tempo, segue una linea accomodante come risposta all’importante incremento inflazionistico.
Bce: tassi invariati e fine del Pepp
Quel che emerge dall’incontro tra i vertici dell’Istituto centrale non si discosta dalle aspettative. Da una parte i tassi d’interesse resteranno invariati – tra lo 0 e lo 0,25% – in linea con la politica espansiva adottata in risposta alla crisi economica. Dall’altra le decisioni riguardano invece il destino del Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme). Il programma di acquisto di asset varato per fronteggiare la crisi pandemica subirà una riduzione nel primo trimestre del prossimo anno per poi terminare definitivamente il 31 marzo 2022. Una scelta anche questa in linea con le attese.
Contestualmente la Banca Centrale aumenterà gli acquisti di asset in ambito App (programma di acquisto di titoli pubblici) a 40 miliardi di euro al mese nel secondo trimestre 2022 e a 30 miliardi nel terzo. A ottobre 2022 gli acquisti dei titoli di Stato torneranno a un livello di 20 miliardi di euro al mese.
Secondo una previsione del Consiglio direttivo riunitosi oggi, è lecito crede che la BCE terminerà gli acquisti netti poco prima di iniziare ad aumentare i tassi di interesse chiave. Per il momento, dichiara Christine Lagarde, «rimane necessario un importante sostegno monetario all’economia per mantenere condizioni di finanziamento favorevoli». La banchiera ha poi assicurato che l’inflazione – ancora molto alta – nel 2022 rallenterà, in coincidenza di un’accelerazione della ripresa economica che per ora procede invece a rilento.
Usa: la Fed stringe sulla scia dell’inflazione
Nella giornata del 15 dicembre invece, alla vigilia del vertice europeo, la Federal Reserve americana aveva annunciato una decisa riduzione degli acquisti di titoli, dopo gli ultimi allarmanti dati sulla crescita del tasso d’inflazione. Procede così il fisiologico ridimensionamento del Quantitative Easing (acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni) messo in atto dalla Fed per aumentare il flusso di liquidità nel mercato.
Una mossa annunciata dall’inflazione al 6,8% registrata negli Stati Uniti nel mese di dicembre – mai così alta dal 1982 – che ha convinto l’Istituto centrale a ritornare a una più moderata gestione della politica monetaria. A partire da gennaio gli acquisti di asset saranno ridotti di 30 miliardi di dollari al mese anziché di 15, spianando così la strada a un rialzo dei tassi di interesse dalla primavera 2022.
All’interno del comitato esecutivo c’è intesa sulla volontà di far scattare, nel prossimo anno, almeno tre strette sui tassi. Ma, per ora, il costo del denaro resterà invariato (tassi tra lo 0 e lo 0,25%) fino a quando «le condizione del mercato del lavoro non avranno raggiunto livelli coerenti con la definizione di massima occupazione». Il presidente della Fed Jerome Powell definisce “robusta” l’economica americana ma prevede che «l’inflazione rimarrà elevata nel corso del prossimo anno».