Sino all’introduzione dell’euro, in Italia abbiamo avuto in circolazione la lira. Ma perché la nostra vecchia moneta, ancora tanto amata dai più nostalgici, si chiamava così? Il nome lira viene da libbra, dal latino libra, ovvero bilancia, unità di peso diventata anche unità di moneta. Anticamente infatti le monete erano di metallo pregiato e il valore corrispondeva al loro peso.
In uso in Europa fin dal VII secolo, la lira all’inizio non era una moneta reale ma soltanto un’unità di conto, con valori diversi a seconda dei Paesi e delle epoche. Nel Medioevo quasi tutta l’Italia contava con la libbra carolingia, imposta da Carlo Magno nel IX secolo. Con lo sviluppo del commercio venne poi frazionata per avere denaro di più comoda circolazione. Le frazioni diventarono a loro volta unità di moneta e presero il nome di lire. La prima fu la lira d’argento milanese, fatta coniare da Giovanni Maria Sforza nel 1474. Altre vennero coniate successivamente in tutta Italia. Nel 1860, nacque a Firenze una moneta con la scritta «lira italiana». Due anni dopo, Re Vittorio Emanuele II unificò il sistema monetario e la lira divenne l’unità monetaria di tutto il regno.
Dal baiocco alla lira
La prima unificazione monetaria gli italiani la vissero molti anni prima dell’arrivo dell’euro. La Legge Pepoli, che prende il nome da colui che già auspicava «l’uniformità del sistema monetario in Europa», fu emanata il 2 agosto 1862 dal Senato del Regno d’Italia. Così, nacque la moneta unica italiana, la lira, già valuta piemontese. Lo stivale era stato definito, decenni prima, come «mera espressione geografica» da Klemens von Metternich, ministro degli Esteri dell’Impero austriaco dal 1809 al 1848. Suddivise all’interno di sei sistemi monetari diversi, 236 erano le monete metalliche differenti utilizzate (poca la carta).
Possiamo nominarne a bizzeffe. Infatti, prima dell’Unità d’Italia, nel nostro paese la facevano da padrone il tallero d’Italia, detto Italicum (moneta del Regno d’Italia), il ducato (valuta ufficiale del Regno di Napoli e del Regno delle Due Sicilie), il baiocco (coniato nelle zecche di Roma e dello Stato della Chiesa), il quattrino (emesso a Firenze per la prima volta nel 1347), il carlino (coniato nel 1278 da Carlo d’Angiò nella zecca di Napoli), lo zecchino (diffuso a Venezia), la lira (diffusa in Piemonte), la lirazza (nome dato alla lira nella città di Venezia) – e molte altre…insomma, al mondo della numismatica non mancava di certo il materiale su cui lavorare, all’interno del quale c’erano anche lo scudo, l’onza, il paolo, il testone, il marengo, il papetto…
Dal marco al fiorino: tutte le monete prima dell’euro
Prima che entrasse in vigore la moneta unica che ha uniformato l’Europa, il panorama monetario del nostro continente era complesso ed eterogeneo. A cominciare dalla penisola iberica: in Spagna, dalla seconda metà del XIX secolo fino al 1999 c’era la peseta; in Portogallo, invece, vigeva l’escudo, utilizzato dal 1911 fino al 2002. In Francia il franco, introdotto per la prima volta nel 1360, è diventato con la Rivoluzione francese la sola e unica moneta legale. Il franco, tuttavia, non è ancora scomparso: la Francia lo impone ancora oggi sulle ex colonie africane.
Il marco invece è stato la valuta della Germania sin dalla sua unificazione nel 1870. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, però, le due Germanie decidono di adottare due monete differenti: la Repubblica Federale di Germania, ossia la Germania Ovest, continua ad adottare il marco tedesco; la Repubblica Democratica Tedesca, ossia la Germania Est, adotta il «marco della Repubblica Democratica Tedesca», due parole. È con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e con la riunificazione delle due Germanie nell’anno successivo che si torna al marco tedesco come unica valuta nazionale.
In Olanda il fiorino è stato utilizzato dal XV secolo, mentre in Austria lo scellino fu la valuta nazionale che sostituì la corona a partire dal 1º gennaio 1925. Sottomultiplo dello scellino fu il groschen, con un valore pari a 1/100 del primo. In Belgio dal 1832 fu introdotto il franco belga, la cui circolazione fu favorita dalla conquista di gran parte dell’Europa occidentale realizzata dalla Francia napoleonica.
Le facce dell’euro
L’euro rappresenta l’identità artistica e culturale dei vari Paesi dell’UE. Sulle monete e sulle banconote sono incise le storie e i luoghi emblematici del Paese in cui circolano, ogni immagine ha un significato. Le finestre e i portali, ad esempio, rappresentano lo spirito di apertura e collaborazione che anima l’Europa. Anche il simbolo €, ispirato alla lettera greca epsilon, comunica uno dei valori sui cui si è fondata la moneta unica, ossia l’idea di stabilità. Ogni Paese ha omaggiato sulle proprie monete artisti e personaggi di rilievo: si pensi alla Venere di Botticelli sui dieci centesimi italiani o a Mozart sull’euro in circolazione in Austria, il re Alberto II in Belgio, Ioannis Capodistras per la Grecia, sua Altezza Reale il Granduca Henri nel Lussemburgo, Miguel de Cervantes in Spagna.
Un nuovo look per l’euro
La Banca centrale europea, però, vuole ridisegnare le banconote dell’euro, attraverso una competizione di design a cui parteciperanno anche i cittadini, in un processo da definire entro il 2024. Verrà individuato un gruppo di esperti formato da un rappresentante per ogni paese dell’area euro. Il nostro rappresentante sarà Fabio Beltram, professore di fisica della materia alla Normale di Pisa. Queste le parole del presidente della BCE Christine Lagarde: «Dopo venti anni è arrivato il momento di cambiare look alle nostre banconote, affinché rispecchino tutte le età e le culture europee». Nonostante il sempre maggior utilizzo dei pagamenti elettronici e il lavoro su un futuro euro digitale, l’Eurosistema non ha intenzione di abbandonare definitivamente la moneta fisica.