Aborto non riuscito, fa causa all’ospedale San Paolo: “Duecentomila euro di danni e assegno mensile”

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Un risarcimento danni di oltre 200mila euro nei confronti dell’ospedale San Paolo. Questa la richiesta di una donna di 34 anni. Nell’aprile del 2013 la donna era andata in ospedale per abortire. L’intervento per l’interruzione della gravidanza era stato eseguito in maniera apparentemente regolare. Poco più di un mese dopo, però, la scoperta, tramite il test, che la gravidanza era ancora in atto e la decisione finale della paziente di far crescere il feto dentro di sé e far nascere il bimbo.

La vicenda arriva oggi nelle aule del tribunale civile con la richiesta di risarcimento danni. La signora, tramite l’avvocato Vincenzo Lepre, contesta all’azienda ospedaliera e al ginecologo che ha eseguito l’operazione la responsabilità professionale. E chiede il risarcimento dei danni provocati “dall’errore del medico” che ha condizionato la vita successiva della donna, e anche un assegno mensile per il mantenimento del bambino, che oggi ha quattro anni.

La signora decide di non volere un bambino appena capisce di essere rimasta incinta: è affetta da oltre dieci anni da una grave malattia, il morbo di Crohn, che metterebbe a rischio la sua salute e quella del figlio. In più, ha un lavoro precario e la sua situazione economica non è buona, anche perché il padre non intende riconoscere il piccolo. Quando si accorge di essere incinta nonostante l’operazione, è scioccata. Torna al pronto soccorso del San Paolo, dove le viene confermata la gravidanza, con la rassicurazione però che si può rimediare all’errore. La paziente rimane convinta della sua decisione, ma di fronte allo sviluppo del feto, ormai di sedici settimane, e alla prospettiva di un nuovo intervento particolarmente invasivo, decide di non abortire. Così nel dicembre del 2013, il bambino nasce con parto cesareo.

Ma dopo la gravidanza, scrive l’avvocato Lepre nell’atto di citazione contro il San Paolo, le condizioni di salute della madre si aggravano. Con “una invalidità che – nel maggio del 2014 – è arrivata al 50 per cento, e una riduzione della capacità lavorativa passata dal 34 al 73 per cento”. Inoltre, “la nascita del bimbo ha posto la parte attrice in notevoli difficoltà finanziarie in ordine all’obbligo di allevare e mantenere il figlio”. Con un lavoro a tempo determinato e part-time nel 2013, la signora è oggi disoccupata, con un atto di intimazione di sfratto per morosità per i mesi immediatamente precedenti e successivi alla nascita. Per questo, la paziente chiede ora al San Paolo e al ginecologo dell’ospedale il “risarcimento dei danni connessi al fallimento dell’interruzione della gravidanza” nella misura di 211mila euro, ma anche “un assegno mensile per il mantenimento del bimbo fino al raggiungimento dell’indipendenza economica”.
In questi mesi, un tentativo di accordo coi legali della clinica non è andato a buon fine. “L’Azienda – commenta la direzione dell’ospedale – ritiene corretto il comportamento dei suoi professionisti e si rimette alla valutazione degli atti da parte delle autorità competenti”.

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