Vaccini per i tumori: i preparati usati contro il Covid-19 danno i primi risultati

Dagli studi sui vaccini per il Covid-19 sono arrivate scoperte importanti che presto potrebbero cambiare le aspettative di vita di molti malati oncologici. È il caso delle sperimentazioni che hanno già dimostrato l’efficacia dei vaccini a mRna combinati all’immunoterapia contro il melanoma o il cancro alla cervice uterina. Risultati promettenti di cui il virologo Massimo Clementi illustra tutte le potenzialità. La rapida evoluzione delle nuove cure anti tumorali coinvolge anche l’Italia. Ne è un esempio l’esperienza dell’immunologa Luigia Pace, che con il suo team ha pubblicato uno studio sui vaccini a vettore virale usati contro un tipo di cancro del colon

 

Il colosso della farmaceutica Pfizer ha pagato 43 miliardi di dollari per acquistare la biotech Seagen, azienda specializzata nella nuova generazione di farmaci anti tumorali, che agiscono come missili di precisione contro alcune forme di tumore. Dopo aver realizzato insieme a BioNTech uno dei vaccini per combattere il Covid-19, la malattia causata dal virus Sars-CoV-2, la Pfizer tenta adesso di allargare il suo business ai trattamenti contro i tumori, consapevole che la tecnologia mRna alla base del suo vaccino avrà un ruolo fondamentale anche in questo campo. Secondo le ultime stime pubblicate dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), a livello globale quasi una morte su sei è causata da un tumore e il numero di nuove diagnosi è in continuo aumento. Non sorprende, quindi, che Pfizer voglia investire in questo settore. L’azienda che ha acquisito è considerata, infatti, leader della nuova classe di trattamenti che sfruttano gli anticorpi per attaccare i tumori. Le sue terapie sono state già approvate per alcuni linfomi e hanno ottenuto risultati promettenti anche per altri tipi di cancro, come quello al seno, se usati in combinazione con altre immunoterapie.

L’operazione finanziaria è sintomo, però, anche di una rapida evoluzione nel campo delle cure tumorali e della centralità che avranno in futuro i vaccini brevettati durante la pandemia. I trial clinici in corso e gli studi pubblicati testimoniano come queste tecnologie possono migliorare la risposta immunitaria del nostro corpo alle cellule tumorali. Se la pandemia ha lasciato anche qualcosa di buono è dunque proprio l’accelerazione in questo ambito della ricerca, che un giorno potrebbe portare la scienza alla base dei diversi vaccini contro il Covid-19 nella prassi della lotta contro il cancro.

Modello di un procedimento usato per realizzare vaccini contro il cancro

Rafforzare le difese del corpo

Ogni giorno il sistema immunitario elimina delle cellule in cui riconosce delle mutazioni. È un processo che avviene costantemente in ognuno di noi. A volte, però, non va così: il sistema immunitario non riesce a rilevare le mutazioni, il meccanismo di eliminazione delle cellule si inceppa e si formano il tumore e le metastasi.

Da tanto i ricercatori provavano a trattare il tumore come un virus che attacca l’organismo e che deve essere combattuto dal sistema immunitario, ma mai erano andati così avanti nei risultati come negli ultimi tre anni. Combinando immunoterapia e vaccini a mRna o a vettore virale, in base alle tipologie di tumore, alcuni laboratori stanno sviluppando tecnologie per istruire il sistema immunitario ad attivarsi contro le cellule mutate.

Vaccini a mRna contro il melanoma e il papilloma virus

Tra gli sviluppi più interessanti degli ultimi tre anni c’è sicuramente quello della sperimentazione sui vaccini a Rna messaggero (mRna). Mentre i vaccini per il Covid-19 stimolano la risposta immunitaria per proteggere l’organismo dal virus, quelli sperimentati contro i tumori spingono il sistema immunitario dei pazienti ad attaccare le cellule tumorali, fungendo da terapia per la malattia già in corso. A dicembre 2022 Moderna, un’altra azienda protagonista della pandemia, ha presentato insieme a Msd una sperimentazione che dimostra come un vaccino antitumorale a mRna, utilizzato in combinazione con l’anticorpo monoclonale Keytruda, riduce il rischio recidiva nei pazienti con melanoma a uno stadio avanzato e sottoposti a intervento chirurgico per rimuovere i loro tumori. Il procedimento è simile a quello di Car-T, una tecnica utilizzata per trattare linfomi non-Hodgkin e alcuni tipi di leucemia. La differenza fondamentale è che queste nuove terapie trattano anche tumori solidi.

Recentemente un altro studio pubblicato su Science Translational Medicine da un gruppo di ricercatori della University of Pennsylvania e della Universidade de São Paulo, ha mostrato che con una sola iniezione di un vaccino a mRna, appositamente progettato contro alcune componenti del papilloma virus umano (Hpv), è possibile frenare la crescita dei tumori correlati al virus ed evitare che la malattia si ripresenti. L’idea alla base è di stimolare lo sviluppo dei linfociti T, cellule del sistema immunitario che tentano di combattere il tumore. Quello alla cervice uterina e a testa-collo causati dall’Hpv sono una tipologie di cancro adatte a questo approccio di cura. «È un risultato davvero promettente – spiega il dottor Massimo Clementi, già direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano – . I vaccini a mRna esistevano anche prima ed erano già in fase di studio nella lotta al cancro, ma la pandemia ha rilanciato la ricerca sulle possibilità offerte da questa tecnologia». Nel caso del cancro causato dal papilloma, per esempio, da diversi anni sono disponibili altri tipi di vaccini in grado di neutralizzare il virus e prevenire lo sviluppo del tumore, ma quelli a mRna si sono dimostrati efficaci anche nei casi in cui il tumore è già presente.

Il virologo Massimo Clementi, già direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Delle cure sempre più personalizzate e accessibili

Si iniettano al paziente le informazioni, sotto forma di mRna, affinché sia il corpo stesso a produrre le proteine necessarie a stimolare una risposta immunitaria a quella specifica malattia. «Quella degli Rna è una sorta di medicina sartoriale che potrebbe avvicinare sempre più la cura alle necessità di ciascun paziente. Un giorno potremmo avere vaccini cuciti su una malattia, su una certa infezione o sul tipo di antigene che si deve combattere, ma non sarà semplice e per quanto la ricerca sia avanti ci vorrà ancora del tempo», aggiunge il virologo Clementi.

Si potrebbe dire che le scoperte fatte nel campo dei vaccini contro il tumore sono l’eredità positiva che ha lasciato la pandemia. Un altro aspetto da non sottovalutare è l’avanzamento relativo alle capacità produttive e di stoccaggio di questi vaccini, tutti aspetti che oggi rendono più plausibile immaginare l’impiego di vaccini a mRna in diversi campi: «Queste terapie un giorno potrebbero costare anche molto meno di altre che non hanno la stessa efficacia, però bisogna vedere se il trattamento a mRna si potrà estendere a tante persone con la stessa malattia. Realizzare un farmaco specifico per ogni soggetto sarebbe molto più complesso».

Il futuro delle terapie con Rna

Non tutti i tumori possono essere curati con vaccino a mRna, ma questa tecnologia promette benefici anche in altre malattie: per esempio, quelle autoimmuni che hanno necessità di una terapia farmacologica e molte infezioni croniche, cioè che durano nel tempo. «Una battaglia di cui quasi non si parla più, ma che non è vinta, l’infezione da Hiv, potrebbe fare dei passi avanti grazie alla tecnologia a mRna. Un giorno mi auguro che permetterà di eliminare definitivamente questo virus nei casi in cui l’infezione è più persistente e le tecniche attuali risultano insufficienti», auspica il dottore.

Il vaccino a mRna non è una bacchetta magica per tutti i tumori, ma esistono più trattamenti che potrebbero essere una soluzione per alcuni tipi di neoplasie: «Ai miei studenti di medicina dico sempre di non affezionarsi a una tecnica, ma di sfruttarle tutte a seconda degli obiettivi che devono raggiungere. Non è importante se usi una Mercedes o una BMW. Quello che conta è arrivare».

L’immunologa Luigia Pace, direttrice del laboratorio di Immunoregolazione Armenise-Harvard dell’Iigm di Candiolo

Un virus che non fa paura: la scoperta del team italiano

«La premessa è abbastanza semplice: prendere una cosa creata dalla natura, un virus, e riprogrammarla perché lavori a favore del corpo e non contro di esso», così il personaggio della dottoressa Alice Krippin nel film I Am Legend (Io sono leggenda) del 2007 spiega la cura miracolosa contro ogni forma di cancro. Chi ha visto il film sa quanto la fantascienza possa estremizzare le reali innovazioni scientifiche per sorprendere lo spettatore con esiti apocalittici senza alcun fondamento. L’antidoto a tutto non esiste, ma oggi usare un virus per sconfiggere alcuni tumori non è più solo fantascienza.

Cure più mirate e meno tossiche per il paziente attraverso il potenziamento del sistema immunitario: è a questo che ambiscono gli studi del laboratorio di Immunoregolazione Armenise-Harvard dell’Italian Institute for Genomic Medicine, che si trova nell’Istituto oncologico di Candiolo, vicino Torino. «Potenzieremo le difese che ciascuno di noi ha già», dice Luigia Pace, direttrice del laboratorio. Ad agosto 2022 il suo team ha pubblicato su Science Translational Medicine uno studio sull’azione di un vaccino che usa un adenovirus per produrre antigeni specifici contro un sottotipo di tumore del colon: «Abbiamo usato un adenovirus di gorilla, reso innocuo, per trasportare diverse proteine nelle cellule tumorali contro cui volevamo indirizzare il sistema immunitario. Il nostro preparato non infetta, ma ha le sembianze di un virus, per cui riesce a ingannare il sistema immunitario, che si attiva e lo colpisce».

Lo studio sul vaccino a vettore adenovirale

Il processo non è tanto diverso da quello dei vaccini a mRna. A cambiare è solo la piattaforma di partenza. I ricercatori del laboratorio italiano, in collaborazione con la biotech italo-svizzera Nouscom, sono riusciti a individuare il meccanismo che sfrutta l’adenovirus nella lotta al cancro. Per sperimentare il proprio vaccino gli scienziati si sono appoggiati agli ospedali statunitensi. La prima fase ha coinvolto 12 pazienti affetti da un sottotipo di cancro al colon del tipo MSI (instabilità dei microsatelliti) con metastasi diffuse. I risultati sono andati oltre le attese. Dopo più di due anni dall’inoculazione, nove pazienti stanno ancora bene, altri non presentano più alcuna traccia della malattia. Solo 3 non ce l’hanno fatta. «Il vaccino a vettore adenovirale, combinato ad altre immunoterapie, aggredisce il tumore in modo selettivo ed estremamente efficace, innescando anche una memoria capace di reagire ad eventuali recidive della malattia – spiega Pace – . In questo modo abbiamo allargato il trattamento anche a individui che non rispondono alla sola immunoterapia». Gli adenovirus offrono dunque il vantaggio di dare risultati in più casi, sia perché nel vettore possono essere inserite informazioni per colpire diverse tipologie di mutazioni della cellula sia per il fatto che il nostro organismo ha una buona risposta immunitaria a questi virus, che in genere causano un semplice raffreddore.

Un cambiamento radicale dell’oncologia

«Presto la sperimentazione di questo vaccino potrebbe arrivare anche negli ospedali italiani. Lo studio è già stato presentato all’Agenzia Italiana del Farmaco ed è in attesa di approvazione – sottolinea la ricercatrice – . Sarà un traguardo importante che non toccherà solo i malati di tumore al colon. Altri trial in corso negli Stati Uniti stanno già verificando l’efficacia del vaccino anche nelle neoplasie al polmone».

La ricerca va avanti e si avvicina sempre più alla comprensione dei meccanismi che generano risposte positive alla cura, così da poter migliorare il modello predittivo. «Adesso in laboratorio stiamo lavorando su diversi approcci che possono permettere al sistema immunitario di mantenere la memoria del tumore il più a lungo possibile, così da attaccarlo qualora si ripresentasse», aggiunge.

Come il dottor Clementi, anche la ricercatrice auspica che non prevalga un solo approccio, ma che possano essere utilizzati tutti in base alle necessità: «La mia speranza è che un giorno queste cure diventino meno costose e ci siano dei centri di riferimento specializzati con equipe in grado di combinare tutti gli approcci possibili. Ci vorrà del tempo e siamo solo all’inizio, ma pian piano queste tecniche arriveranno nelle vite di tutti i malati oncologici e diventeranno sostenibili anche a livello economico, come è stato per altre terapie».

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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