Con oltre 2 milioni di morti nel mondo, il Coronavirus per numero di decessi non si avvicina – neanche lontanamente – a quelli provocati da una delle malattie più antiche di sempre: la tubercolosi. La tisi ha infatti ucciso più persone negli ultimi 2000 anni rispetto a qualsiasi altra patologia. Chiamata “mal sottile” in riferimento alla magrezza di chi ne è colpito, è ancora oggi una delle 10 principali cause di morte nel mondo.
La scoperta del batterio
Annoverata, sin dai tempi di Ippocrate, come la più diffusa patologia di tutti i tempi, già nel Neolitico trovarono in un bisonte la presenza del Mycobacterium bovis, il batterio legato alla tubercolosi, e nelle mummie egizie segni della spondilite tubercolare o malattia di Pott, forma di tubercolosi extrapolmonare in cui i microbatteri anziché nei polmoni si trovano nelle vertebre della colonna.
La tubercolosi lantente
Come tante altre malattie infettive, anche la tubercolosi dagli animali si è trasmessa agli uomini. Si presenta in due forme: infezione o malattia. Nel primo caso il batterio entra nel nostro organismo, ma il sistema immunitario riesce a contenere l’infezione (tubercolosi latente). Nel secondo si manifesta per lo più attraverso una tosse cronica, febbre elevata, sudorazione e perdita di peso.
«Oggi nel mondo si calcola che più di 2 miliardi di persone sono tubercolino positivi, cioè abbiano la tubercolosi latente» afferma Ercole Concia, Professore di Malattie infettive dell’Università di Verona, a MasterX. Il test che rileva l’infezione si chiama tubercolina: «Si inietta per via sottocutanea un estratto proteico del micobatterio e il positivo presenta una reazione importante: la zona si arrossa e diventa rilevata» spiega il Professore.
In Paesi come l’Italia, dove le condizioni igienico-sanitarie sono buone, il fenomeno della slatentizzazione è molto raro e l’incidenza della malattia è pari a 5 per 100mila abitanti. «I malati di oggi – precisa Concia – sono prevalentemente extracomunitari e provengono da luoghi in cui la tubercolosi uccide ancora in modo significativo» come la Moldavia dove l’incidenza della tisi è pari a 175 per 100mila o il Marocco con 100 casi per 100mila abitanti.
L’adattamento del nostro sistema immunitario alla malattia
Partendo dall’evidenza che siamo discendenti di persone sopravvissute a epidemie passate, anche «in Italia c’è stato un adattamento genetico della razza umana a questo batterio, fenomeno che non si è verificato in altri Paesi» afferma l’infettivologo. Il passaggio dall’infezione alla malattia dipende dalle condizioni sanitarie. «I miei malati – continua il Professore – o sono anziani italiani con un depauperamento del sistema immunitario o giovani immigrati con un’età compresa tra i 25 e i 30 anni, provenienti da Paesi dove la TBC è endemica».
Uno dei motivi per cui la situazione italiana è sotto controllo, oltre alla sviluppata educazione sanitaria, è la capacità di diagnosticare la malattia e di curarla. Diverso è il caso di diversi Paesi in Africa, nell’est Europa e Oriente. «L’Occidente con assoluto cinismo si è completamente disinteressato della tubercolosi. La malattia con alle spalle migliaia di anni di storia, viene curata con gli stessi 5 farmaci della metà del ‘900» afferma Concia. Se si pensa che per l’AIDS, malattia scoperta nel 1983, esistono molti più medicinali, ci si rende conto che «l’Europa ha smesso di fare ricerca e di preoccuparsi di tubercolosi».
Uno dei farmaci utilizzati in Italia è la bedaquilina e ha un costo di circa 35mila euro, cifra insostenibile per i Paesi endemici, mentre in Italia il vaccino (BCG) non viene più utilizzato, a differenza dell’Africa: «Serve a poco. Sembra che prevenga sostanzialmente le forme gravi nel bambino, ma non la malattia nell’adulto» chiosa Concia.
Perchè ancora oggi è importante investire nella ricerca sulla TBC
Secondo il Professore, il basso rischio di incontrare la tubercolosi nel nostro Paese non è un buon motivo per non investire nella ricerca. Una delle emergenze di questi ultimi anni è la resistenza agli antibiotici. Si calcola che al mondo ci siano più o meno dai 400mila ai 500mila casi: «In una forma di tubercolosi multiresistente, almeno la metà dei pazienti muore, perché non hanno i farmaci adeguati». I numeri non sono banali: “Si parla di un milione e mezzo di morti e 10 milioni di casi all’anno, di cui almeno 3 milioni presentano una diagnosi scorretta e quindi una terapia sbagliata» afferma Concia. Un dato che ci ricorda quanto sia importante continuare a fare ricercare, anche in Europa.