Antonella Viola: la medicina e le differenze di genere

Uomini e donne sviluppano sintomi diversi di una stessa patologia e i loro corpi rispondono in modo differente alle cure. Con la diffusione della pandemia di coronavirus questa differenza tra uomini e donne è diventata sempre più lampante, anche se nella ricerca di una cura non è stata prestata sufficiente attenzione a questa diversità. Antonella Viola, l’immunologa alla guida dell’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza di Padova, e professoressa di Patologia Generale, nel suo libro “Il sesso è (quasi) tutto” svela che il 73% delle reazioni alle prime dosi del vaccino anti-Covid somministrate in Italia sono state osservate in individui di sesso femminile. Proprio per monitorare queste differenze, farvi fronte e trovare un approccio più inclusivo alla medicina, esiste la medicina di genere, o medicina genere-specifica, dall’inglese gender-specific medicine. La pandemia ha aumentato la consapevolezza del problema, mettendo in evidenza che le donne (e chiunque non rientri nella definizione di maschio bianco cis-gender) non possono più essere relegate nella categoria generica dell’“altro” ed è necessario arrivare a una diagnosi delle patologie e a una cura più inclusiva. 

Che cos’è la medicina di genere?

“Medicina di genere” è un’espressione che viene usata per la prima volta nel 1991 dalla cardiologa Haley in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine in cui esprimeva l’urgenza di svoltare verso una medicina più inclusiva, che tenesse conto delle differenze tra i generi e i sessi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la medicina di genere è un approccio “trasversale, interdisciplinare e pluridimensionale” che mette al centro la persona e il suo vissuto, tenendo conto del suo genere individuato con dei criteri che si basano sul “comportamento, le azioni e i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute”. L’Oms individua le differenze tra i generi con criteri che spaziano dai comportamenti e gli stili di vita, allo stato di salute, che tiene conto del livello di tossicità dell’ambiente e dell’assunzione di medicinali, al ricorso ai servizi sanitari e al vissuto di salute. Il 13 giugno 2019 in Italia è stato approvato dal ministero della Salute e dal Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Iss il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale”, che ha come scopo quello di promuovere un approccio intersettoriale alla medicina che tenga conto del genere nella ricerca ma anche nell’insegnamento della materia e nell’informazione pubblica. 

Sesso, genere, orientamento sessuale

Per capire quale sia l’oggetto della medicina di genere bisogna innanzitutto distinguere il sesso biologico, determinato dai cromosomi XX e XY e osservabile nei caratteri sessuali primari e secondari, e il genere. Il sesso biologico di un individuo non sempre è categorizzabile come maschile o femminile: alcuni bambini alla nascita presentano un numero diverso di cromosomi o degli organi genitali che non appartengono né a un sesso  né a un altro. Purtroppo, la visione binaria che si ha della sfera sessuale ancora presente in medicina porta a considerare quest’ambiguità problematica, nonostante l’intersessualità sia una condizione che si presenta in un bambino su cento. Anche se in alcuni casi l’intersessualità non comporta problematiche che riguardano la salute del bambino, spesso i medici intervengono chirurgicamente per rendere più tipico l’aspetto dei caratteri sessuali secondari per scelta dei genitori. Questi interventi possono intaccare il normale sviluppo del bambino. Per quanto riguarda il genere si possono distinguere persone cis-gender, ovvero con il genere che corrisponde al proprio sesso biologico, e trans-gender, ovvero quegli individui che si sentono appartenenti ad un genere diverso rispetto al loro sesso biologico. Non solo uomo o donna, alcuni individui si definiscono non-binary, ovvero non si identificano con nessuno dei due generi. 

Il genere è diverso dall’orientamento sessuale, che invece identifica una persona come eterosessuale, omosessuale, bisessuale, pansessuale, e asessuale.

Quando parliamo di medicina di genere dobbiamo tenere conto del sesso biologico, anche se, secondo la definizione dell’Oms riportata sopra, anche tra i generi ci sono importanti differenze che dipendono dalle disparità socio-economiche, dalle abitudini, dall’etnia e  dall’ambiente in cui l’individuo è inserito. 

 

Le differenze tra i generi 

Tra individui di sesso maschile e femminile esistono differenze sostanziali nello sviluppo dei sintomi di alcune malattie e nella risposta alle cure. Ne è un esempio lo studio che fino a qualche anno fa si faceva delle malattie cardiocircolatorie, causa del 43% delle morti degli individui di sesso femminile in Italia contro il 33% di quelle del sesso maschile, come riportato da Antonella Viola. Fino all’introduzione dell’approccio della medicina di genere, si consideravano solo i sintomi riscontrati negli individui di sesso maschile durante un attacco cardiaco, ovvero una morsa al petto, dolore al braccio sinistro e sudorazione fredda accompagnata da nausea. Nelle donne, invece, i sintomi più comuni sono molto diversi: respiro corto anche a riposo, nausea e sudorazione fredda, dolore alla schiena, spalla, collo o mascella e debolezza. Il rischio di un approccio simile è quello di non riuscire a fornire un’assistenza e una cura adeguata e tempestiva a causa della difficoltà nel riconoscere i sintomi. 

Non solo differenze a livello fisiologico: anche il genere influisce sulla salute delle persone, in quanto legato all’appartenenza a una fascia socio-economica, a una determinata etnia, ma anche a una possibile condizione di disabilità. Questi fattori incidono sulla possibilità dell’individuo di accedere al sistema sanitario, sulle sue abitudini e sul suo vissuto. Ad esempio, spesso le donne hanno a disposizione stipendi più bassi, avendo così un accesso ridotto alla cura del proprio corpo e alle terapie. A ciò si somma anche il ruolo familiare delle donne che spesso viene identificato con quello di accudimento delle persone più anziane o dei bambini: per questo motivo il lavoro fuori casa si somma a quello all’interno delle mura domestiche. In alcuni casi, anche l’accesso negato all’istruzione, alla possibilità di fare sport, o in casi estremi, anche di passare tempo all’aperto, porta le donne che appartengono a determinate comunità a trascurare la propria salute fisica e ad avere carenza di sostanze come la vitamina D.

 

Medicina di genere e Covid-19

Come abbiamo già detto, la pandemia di coronavirus ha contribuito a mettere in luce l’importanza sull’importanza di un approccio genere-specifico nella medicina proprio per le profonde differenze riscontrate nella gravità e nella durata nel tempo dei sintomi sviluppati da uomini e donne. Per esempio, i risultati della ricerca Epidemiological characteristics of COVID-19 cases in Italy: an analysis from a sex/gender perspective” pubblicata  dall’Italian Journal of Gender-Specific Medicine mostrano come nel primo periodo della pandemia l’età media delle donne contagiate fosse più alta di quella degli uomini. La stessa ricerca analizza un sondaggio secondo cui nei primi tempi di diffusione del Covid-19 le donne sono state più attente e rispettose delle limitazioni rispetto agli uomini,e che negli under 60 il numero di donne contagiate è risultato maggiore rispetto a quello degli uomini. Questo è dovuto al fatto che le donne ricoprono più spesso posizioni lavorative per cui sono costrette a essere a contatto con il pubblico. A parità di tasso di infezione, invece, gli uomini hanno più probabilità di sviluppare sintomi più gravi. Questo avviene proprio a causa della risposta immunitaria, che nelle donne sembra essere più efficace sia nei confronti degli organismi patogeni, sia ai vaccini. Ed è proprio nella ricerca per sviluppare un vaccino contro il Covid 19 che, come riporta Antonella Viola nel suo libro, non si è tenuto conto della diversità di risposta: in Italia, le reazioni alle prime dosi di vaccino anti-Covid 19 sono state osservate per il 73% nelle donne.

Come evidenziato dal documento “Medicina di genere e Covid-19” del ministero della Salute, aggiornato al 2021, gli uomini presentano una mortalità superiore di 1,5 volte rispetto alle donne, se in contatto con il virus. Nonostante lo sviluppo di un vaccino efficace in tempi così brevi sia stata un’impresa eccezionale, è auspicabile che si tenga conto delle differenze di sesso e genere nelle fasi di aggiornamento dei vaccini.  Anche nei sintomi di long Covid si sono riscontrate differenze tra i sessi e i generi: nella ricerca Sex and gender differences in the neurological and neuropsychiatric symptoms of long Covid: a narrative review”, pubblicata dall’Italian Journal of Gender-Specific Medicine viene mostrato che, se negli uomini c’è una probabilità maggiore di sviluppare sintomi della malattia grave, le donne vanno incontro a sintomi più lievi ma prolungati nel tempo. La causa deve essere ricercata nella risposta immunitaria femminile. Il sesso è quindi inserito tra i fattori di rischio per lo sviluppo di sintomi di long Covid, insieme all’indice di massa corporea e le comorbidità. In una scheda informativa sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità è mostrato come 60 anni sia l’età in cui si raggiunge la parità di rischio di sviluppare sintomi di long Covid. Prima di quella soglia  il rischio per le donne è il doppio di quello per gli uomini. 

 

   

 

 

Chiara Zennaro

Sono laureata in Lingua e Letteratura russa e inglese. Ho conseguito uno stage presso la redazione milanese de Il Giorno, e sono tuttora una collaboratrice. Twitter: @zennaro_chiara

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