Storia di Federica, addetta alle pulizie in trincea

Federica Rocchi ha 48 anni e vive a Tivoli, un comune di quasi 55mila abitanti in provincia di Roma. Dal 7 aprile 2020 la sua vita cambia. Dopo un passato da commessa in tabaccheria e un periodo di disoccupazione, ottiene un lavoro come addetta alle pulizie in un ospedale Covid. Non ha esperienze simili alle spalle, ma non si fa prendere dal timore di contagiarsi: è disposta a tutto pur di lavorare. Da allora, le sue mattine odorano di sapone e sanificante. I pasti principali sono spesso due, anziché tre. Federica adora fare colazione, eppure quando le tocca il turno della mattina non mangia niente perché la sveglia suona alle 3.30 e beve solo un caffè. Alle 4.20 deve uscire di casa.

Per andare al Columbus Covid 2 Hospital, il posto in cui lavora, la struttura Covid del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, fa 50 minuti di tragitto in autobus, prende metropolitana e treno. Vive lontano dall’ospedale: Tivoli-Roma, oltre 40 chilometri di strada, «ma non importa, mi va bene lo stesso: ho bisogno di lavorare». Lo stipendio medio di Federica, come quello di molti addetti alle pulizie in Italia, non supera i 900 euro mensili. Una paga esigua per stare sei ore in trincea, eppure lei è soddisfatta perché: «penso di dare un piccolo contributo, non solo a livello lavorativo ma anche umano, forse riesco a lasciare sempre qualcosa a chi sta nel letto attraverso un sorriso, una parola, un saluto».

MasterX ha trascorso una mattinata insieme a lei per descrivere un sabato di un’addetta alle pulizie che lavora in un reparto Covid. Con questo diario di bordo abbiamo voluto tradurre sacrificio, resistenza e fatica in parole e immagini.

L’arrivo al lavoro

Sono appena passate le sei. É buio pesto, solo la luce artificiale dei lampioni illumina l’asfalto. Le uniche saracinesche alzate sono quelle delle edicole. Roma dorme in un sonno inquieto, angosciato dal numero di contagiati e morti di Covid-19. Anche il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS appare inghiottito dalla notte. Alle 4.35 Federica prende l’autobus in direzione Roma Tiburtina. Alle 5.37 sale sulla metro fino alla fermata Piramide, quindi a piedi raggiunge la stazione di Roma Ostiense. Sono le 6.37 quando arriva alla stazione Gemelli. Con passo svelto, si affretta a raggiungere l’entrata del Columbus Covid 2 Hospital e prende l’ascensore per andare negli spogliatoi.

Pochi minuti prima delle 7, Federica timbra la sua entrata. Deve usare la app del telefono e non c’è molta linea. Ancora lei non ha un badge, né una matricola. Sta aspettando di riceverli, sono poche settimane che il suo contratto è diventato a tempo indeterminato. Lo racconta con gli occhi pieni di orgoglio: “Se sei idoneo e soprattutto se non hai paura di contagiarti, ti prendono – dice ricordando il giorno del colloquio –. Se hai paura, c’è il pericolo che commetti qualche errore; i primi giorni avevo un taccuino su cui annotavo tutto”.

Il reparto

Prima di salire al reparto, Federica entra in lavanderia e prende i pannetti blu per lavare il pavimento, il panno per spolverare e la tuta per entrare nelle stanze. Il carrello è rifornito, ma lei preferisce portare con sé più del necessario. “Se dopo mi dovesse mancare qualcosa, scendere in lavanderia significherebbe svestirsi e perdere tempo”, ammette. Federica ha girato un po’ tutti i reparti, per diversi mesi ha pulito anche la Chiesa dell’ospedale. “Mi è capitata pure la terapia intensiva: c’erano tante persone intubate, erano praticamente tutte sedate, con questi tubi infilati nella gola – racconta – qualcuno mi colpiva più degli altri perché forse era più vicino alla mia età. Poi magari trovavi questi sacchi con il nome scritto e se ne erano andati: erano morti”.

Entrata in degenza Covid 2 Nord, lava il corridoio e pulisce la stanza dei medici. Alle 7.27 escono due infermiere che hanno appena terminato il turno della notte. In lontananza arriva un signore con il carrello della colazione. Lei non si distrae, sanifica ogni centimetro quadrato di superficie di bagni, stanza della caposala e medicheria, ovvero la stanza delle infermiere. É qui dove ci sono i monitor che mostrano l’interno delle camere: ogni paziente è sorvegliato 24 ore su 24 da una telecamera, così le infermiere possono evitare di entrare spesso nelle stanze. Per farlo dovrebbero ogni volta indossare tute e dispositivi di protezione.

I pixel degli schermi mostrano sagome allettate, gran parte dei ricoverati hanno la mascherina e dormono, solo un signore sta facendo colazione.

– «Ma questa camera è vuota?», domanda Federica a un’infermiera

– «Sì, il paziente è stato portato in terapia intensiva».

La vestizione

Prima di entrare nelle stanze, Federica deve indossare i dispositivi di protezione per evitare di contagiarsi: le camere dei pazienti sono tutte contaminate. «Nelle stanze non entra nulla, se non la stecca e i pannetti monouso – spiega –  per vestirmi impiego 5/6 minuti: metto prima la tuta, copriscarpe, poi quattro paia di guanti, copricapo e occhiali protettivi». Appena termina di pulire ogni camera, prima di uscire nel corridoio, si toglie l’ultimo paio di guanti e ne indossa uno nuovo. «Non posso toccarmi – ci tiene a precisare–, adesso avrei anche un po’ di sete, ma per bere dovrei spogliarmi completamente e perderei tempo. Anche per andare in bagno mi dovrei svestire e rivestire, in genere vado prima».

 

Appena varcata la soglia dell’anticamera, la zona filtro tra camera e corridoio in cui addetti alle pulizie, infermieri, medici e operatori socio sanitari si tolgono i dispositivi di protezione, un’infermiera si sanifica con generosità i copriscarpe. Alle 8.42 Federica entra nella prima stanza. Dal corridoio, si sente lo strofinio del panno su una maniglia. Federica è precisa, meticolosa, veloce. Nelle camere deve spolverare, lavare a terra, svuotare i cestini; ci sono stanze che necessitano meno tempo per essere pulite: «I pazienti allettati sporcano meno rispetto agli altri».

Sanificare dopo dimissione o decesso

Al momento di una dimissione o di un decesso deve sanificare tutto, dunque lavare qualsiasi cosa si trovi di fronte come televisione, letto, armadi, pareti. Impiega circa 50 minuti adesso che è più pratica. «Quando c’è un decesso ti fa strano perché sono persone morte da sole, lontane dai parenti–confessa– .Quando pulivo la terapia intensiva, vedevo tutti questi sacchi della gente deceduta. Pensi che è rimasta solo la biancheria, ti domandi se la riprenderanno». Oggi c’è una dimissione prevista per le 13, ma tocca alla collega del pomeriggio.

Federica cerca l’occorrente per entrare nelle stanze dei pazienti

Intanto, dalla finestra del corridoio che si affaccia sul parcheggio della struttura, si nota sfilare un carro funebre: trasporta una bara coperta di fiori. Pochi minuti dopo, arriva una piccola cisterna mobile. La scritta laterale è ben leggibile: ossigeno liquido. Morte e vita, una l’ombra dell’altra, oggi si scambiano il testimone.

Poco dopo le 11.30 Federica esce dall’ultima camera, sono più di quattro ore e mezza che lavora senza interruzioni, eppure preferisce non riposarsi. «Posso prendere la pausa, ma io non l’ho mai fatta, non mi conviene – ci tiene a dire – una volta vestita non mi va di perdere tempo a svestirmi e rivestirmi, voglio sbrigarmi a finire».

Quando il personale sanitario termina di rifare tutti i letti, Federica può entrare nelle stanze per togliere le lenzuola sporche. Un’oss prepara i sacchetti del pranzo da lasciare in ogni anticamera, ma solo un paziente è in grado di alzarsi per prenderlo. Gli altri ricoverati sono allettati e devono aspettare che le infermiere si vestano per entrare nelle camere.

Federica cambia i sacchetti dei contenitori per rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo

Alle 12.40 Federica ha lucidato e ordinato l’intero reparto. Nel corridoio, i contenitori monouso per rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo sono perfettamente allineati. «Cerco di svolgere al meglio il mio lavoro e credo di riuscirci – ammette – .Quando vado via, vedo un reparto ordinato. Mi piace l’ordine, non amo le cose storte».

La svestizione

Prima di lasciarsi alle spalle la porta del reparto, Federica si sveste. Deve farlo in un’anticamera, altrimenti contaminerebbe il corridoio. Si accorge che le è rimasto il segno del copricapo sulla fronte. La sua giornata lavorativa ancora non è finita: oggi deve pulire anche la sala convegni. Prende tutto l’occorrente ed entra in ascensore. La stanza è grande e ha una bella vista su Roma. Risulterebbe facile distrarsi, ma lei rimane concentrata sul suo lavoro; con il pannetto disinfetta le sedie una per una, poi prende la stecca per lucidare il pavimento. «Penso molto quando lavoro– dice interrompendo il silenzio – penso a queste persone ricoverate, stanno sempre da sole, vederle soffrire in solitudine fa male, gli infermieri sono oberati di lavoro e non possono rimanere in stanza a fare loro compagnia. Quando posso rimango io». Tra una riflessione e l’altra, termina di pulire la sala. Adesso il tavolo luccica.

Il ritorno a casa

Sono appena passate le 13, il suo turno è finito e lei non si è mai seduta. Federica prende l’ascensore per tornare a salutare in reparto, poi raggiunge gli spogliatoi per cambiarsi. Deve aspettare almeno mezz’ora per prendere il treno, di sabato passa con meno frequenza. Alle 13.31 sale a bordo e sa che arriverà a casa non prima delle 15. Quando lavora trascorre sei ore in corsia, quasi quattro sui mezzi di trasporto. Ma la piega dei suoi occhi rivela un sorriso di gratitudine: «Il Covid ti fa vedere le cose sotto un aspetto diverso, capisci che sei fortunato, hai un lavoro e tante altre fortune che le persone che muoiono lasciano quando se ne vanno». Intanto il treno raggiunge la stazione di Ostiense e Federica riflette sui suoi momenti liberi. Quando non lavora le piace passeggiare e dedicarsi alla casa: «Domani sono di riposo, non so come passerò la giornata, ma posso fare colazione finalmente».

 

Virginia Nesi

LAUREATA IN SCIENZE UMANISTICHE PER LA COMUNICAZIONE A FIRENZE. HA DUE MASTER IN GIORNALISMO: UNO REALIZZATO ALL'UNIVERSITÁ SAN PABLO DI MADRID E L'ALTRO ALLA IULM DI MILANO. APPASSIONATA DI POLITICA ESTERA E SOCIETÁ, HA VINTO IL PREMIO "WALTER TOBAGI 40 ANNI DOPO" E LA MENZIONE SPECIALE AL PREMIO VERA SCHIAVAZZI. HA SCRITTO "MEZZO SOSPIRO DI SOLLIEVO"(PIEMME).

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