Un anno fa, oggi. Come un fulmine a ciel sereno, come un attaccante che sbuca da dietro le spalle del difensore e di testa fa 1-0. Il 9 dicembre 2020 ci lasciava Paolo Rossi, un ragazzo semplice, che da Prato si è preso il mondo in una estate.
L’elogio della normalità. Già perché Pablito era un ragazzo come tutti, o quasi: un centravanti di media statura, senza una spiccata forza muscolare, ma con un fiuto del gol e un intelligenza calcistica superiore alla norma. Sempre con quel sorriso sulle labbra che ormai era diventato il suo biglietto da visita. Iconico. Un uomo che ha dimostrato prima ai suoi connazionali, poi al mondo, come la vita sia fatta continuamente di alti e bassi, ma la vera forza sta nel rialzarsi e riprendere da dove si era interrotto.
Una carriera dove tutto è possibile
La carriera di Pablito inizia nel 1972 nelle giovanili della Juventus, ma tra tre operazioni al menisco e un primo adattamento non semplicissimo viene spedito in prestito prima al Como e poi al Lanerossi Vicenza. Qui la svolta. Nel 1978 l’allora allenatore dei biancorossi, Giovan Battista “Gibì” Fabbri, decide di spostarlo dalla fascia al centro area. Non doveva mandare in rete i compagni, era lui che doveva finalizzare.
Saranno 60 in 94 presenze totali, due anni di dominio nel campionato cadetto. Pablito impressionò tutti, tanto da meritarsi la convocazione al mondiale argentino. L’anno successivo però, per colpa di un infortunio al ginocchio che lo tenne lontano dal campo per molti mesi, il Vicenza dei miracoli non si ripeterà e retrocederà di nuovo in Serie B. Nell’estate del 1979 Paolo Rossi passa al Perugia, allora in Serie A. Come nelle più belle storie ora dovrebbe esserci la nuova svolta, ma la vita aveva in serbo un altro boccone amaro per il ragazzo di Prato. Nell’anno a Perugia rimane invischiato nel caso Totonero e, seppur rimarcherà sempre la sua innocenza, fu squalificato per due anni. Salta l’Europeo del 1980 e solo l’anno dopo ritornerà alla Juventus, ma ormai la convinzione generale è che questo Paolo Rossi è tutt’altro giocatore rispetto a quello ammirato a Vicenza. Il morale di Pablito era a terra, tanto che pensò di ritirarsi, ma lo prese sotto la sua ala Enzo Bearzot che due anni dopo decise di portarlo in Spagna al “mundial” del 1982.
Spagna 1982, il suo Mundial
Spagna 1982, la Nazionale di Enzo Bearzot è un gruppo solido che ha in Zoff, Scirea, Tardelli, Bergomi e Baresi i leader emotivi del gruppo. L’inizio non è dei migliori con 3 pareggi in altrettante partite che qualificarono gli Azzurri alla seconda fase dietro la Polonia. Pablito è a secco. Per accedere alle semifinali occorre vincere il “gironcino” con Brasile e Argentina. Il sogno azzurro pare destinato a infrangersi. Tardelli e Cabrini regalarono un successo insperato contro l’Argentina di Maradona e Kempes, ma l’ostacolo insormontabile arriva dopo: bisognerebbe battere il Brasile. Quel Brasile che ha passeggiato sull’Argentina, quel Brasile che vantava talenti come Zico, Socrates, Falcao e Junior. Ed è qui che la leggenda prende definitivamente forma. In una delle partite più clamorose della storia dei mondiali, l’Italia riesce a battere il super Brasile grazie a tre reti del ragazzo di Prato. 5′, 25′, 74′, Paolo Rossi stende i verdeoro e si sblocca nella competizione mondiale. Dalla squalifica al vertice, da fragile a immenso, come solo ai più grandi può accadere.
L’Italia archivia il capitolo Polonia per 2-0 in semifinale, con una doppietta di Rossi. In finale c’è la Germania Ovest, la corazzata capitanata da Karl-Heinze Rummenigge. Quella notte dell’11 luglio 1982 al Bernabeu Rossi dimostra che tutto è possibile. D’altronde Paolo Rossi era un ragazzo normale come tutti noi e nessuno si poteva aspettare un exploit del genere. È come un fulmine a ciel sereno, come un attaccante che, su un cross dalla destra di Cabrini, sbuca da dietro le spalle del difensore e di testa fa 1-0. Paolo Rossi, dal nulla, 1-0 Italia. Un istante di sbalordimento e poi le braccia del 20 si alzano al cielo. Sei gol in tre gare, miglior realizzatore del torneo e, nemmeno a dirlo, premiato come miglior giocatore del Mondiale. Alla fine dell’anno vinse anche il Pallone d’oro, terzo italiano a riuscirci dopo Gianni Rivera e Omar Sívori.
Un ragazzo che non sarà mai dimenticato
Gli infortuni, gli scudetti, la squalifica, il Mondiale, il Pallone d’Oro. Una carriera piena d’alti e, sfortunati, bassi che il ragazzo da Prato ha sempre affrontato a testa alta. Un ragazzo che si è preso tutto in una estate, ma con quel merito che tutti gli hanno riconosciuto. E soprattutto sempre con il sorriso sulle labbra e quel modo di affrontare la vita conscio che, nonostante tutto, può rivelarsi un’avventura straordinaria.
PER SEMPRE ❤️#Pablito pic.twitter.com/0HZazHgiYo
— Marco Tardelli (@MarcoTardelli82) December 9, 2021