Cognify è un progetto con sede a Dubai che intende rivoluzionare il sistema di giustizia penale riducendo la necessità di incarcerazione a lungo termine e i relativi costi. La soluzione avanzata dal biologo molecolare a capo del programma, Hashem Al-Ghaili, sarebbe quella di impiantare ricordi artificiali nel cervello dei criminali per velocizzare la loro riabilitazione.
Un progetto controverso
«Preferiresti passare 10 anni dietro le sbarre o scontare la tua pena in pochi minuti attraverso memorie artificiali?» Questo non è l’incipit di un nuovo episodio della serie distopica Black Mirror, ma è la premessa di Cognify, un programma di rieducazione dei carcerati basato sull’impianto di falsi ricordi.
Secondo il divulgatore scientifico Hashem Al-Ghaili, questo nuovo approccio alla giustizia penale potrebbe infatti trasformare le prigioni in strutture obsolete, sostituendole con tecnologie avanzate basate sull’intelligenza artificiale e sulla neuropsicologia. Il sistema, sviluppato da Cognify e definito la “prigione del futuro”, utilizza ricordi sintetici personalizzati per i detenuti. Questi ricordi, progettati in base al crimine commesso, alla struttura cerebrale e al profilo psicologico del colpevole, mirano a indurre sensi di colpa e rimorso equivalenti a decenni di reclusione.
Dalla cella alla capsula
Il procedimento inizia con una scansione cerebrale ad alta risoluzione del condannato, che crea una mappa dettagliata del suo cervello. Questa mappa viene utilizzata per personalizzare l’impianto delle memorie artificiali, adattandolo alla struttura cerebrale di ciascun individuo. L’idea è che il detenuto “viva” le conseguenze del crimine commesso, empatizzando con le sofferenze inflitte. Si tratta di una metodologia che, seppur ispirata alla fantascienza, affonda le sue radici in ricerche neuroscientifiche reali.
Sul tema si è espressa anche l’Università di Oxford, dove un team guidato dalla professoressa di filosofia Rebecca Roache, ha avanzato un’idea meno complessa, ma altrettanto radicale. I ricercatori propongono l’uso di psicofarmaci in grado di alterare la percezione del tempo nei detenuti.
Il cortometraggio pubblicato ha offerto una prima visione di questa ipotetica “prigione del futuro”. La reazione del pubblico è stata per lo più negativa: alcuni la vedono come una soluzione creativa ai problemi del sovraffollamento carcerario, altri la considerano un passo inquietante verso un futuro distopico.
Le basi scientifiche
Studi recenti hanno dimostrato che è possibile manipolare i ricordi di animali: i ricercatori sono già riusciti nel 2013 a impiantare false memorie nei topi e persino a trasferire ricordi tra lumache marine. Si chiama Decoded Neurofeedback (DecNef) ed è un processo che innesta nuove conoscenze attraverso l’aumento dell’attivazione neurale in alcune regioni del cervello, come la corteccia visiva.
Alcuni esperimenti condotti presso l’Università di Boston e nei laboratori di neuroscienza di Kyoto, in Giappone, hanno dimostrato come questo approccio possa avere molte applicazioni utili: aiutare le persone a superare le proprie paure, trattare disturbi mentali e malattie, come ansia, ADHD e depressione o persino migliorare le capacità di apprendimento.
Le origini del progetto
Le prigioni tradizionali non riescono sempre a garantire la riabilitazione dei detenuti. Secondo le statistiche, quasi il 70% delle persone che scontano una pena torna a delinquere. Il motivo è spesso dettato da uno stigma: quando il condannato esce dal carcere, la punizione si ripresenta sotto forma di barriere sociali quasi insormontabili. Chi ha scontato una condanna si trova spesso impossibilitato a reintegrarsi: ottenere un lavoro è una sfida, così come trovare una casa o opportunità che permettano un reale ritorno alla società. Eppure, la riabilitazione è uno degli obiettivi primari per cui il sistema carcerario dovrebbe esistere.
A questa situazione già complessa si aggiunge il dramma del sovraffollamento. Le carceri italiane, ufficialmente, presentano un tasso medio di affollamento del 107,4%, il che significa che per il 7,4% delle persone detenute non esiste lo spazio fisico necessario. Questo dato, però, è solo una media: in alcune regioni, la situazione è ben peggiore. In Puglia, per esempio, il sovraffollamento raggiunge il 135%, mentre in Lombardia è del 130%.
Tuttavia, l’idea di sostituire la detenzione con un’esperienza di rieducazione digitale solleva inevitabilmente grandi problemi etici. Cognify rappresenta l’esempio perfetto di come il progresso tecnologico possa offrire soluzioni innovative al sovraffollamento carcerario o all’alta recidiva, ma al tempo stesso crea dilemmi etici inediti. Una prigione senza sbarre potrebbe sembrare una conquista, ma è davvero giusto sacrificare la mente umana per risolvere inefficienze del sistema penale?