“Bambini, tutti pazzi per i videogame”: a Milano l’82% ci gioca

Psicologi, neurologi, maestre e genitori possono dire quello che vogliono, ma l’unica certezza che c’è al momento sul gaming online è che ai bambini piace da matti. Solo nella città di Milano l’82% tra gli 11 e 12 anni ci gioca: davanti alla playstation, ma più spesso al computer. Più i maschi (8/10) delle femmine (7/10). E di questi molti anche online: dove si sfidano con i loro compagni di banco oppure con gamers di altre nazionalità. «Gioco spesso con i miei amici. Ci diamo appuntamento e poi iniziamo a giocare – dice Federico, 10 anni (per gli avversari: PD Fede 1209) – ma so che potrei sfidarmi con chiunque: anche con un bambino che vive in Nuova Zelanda. Gioco agli sparatutto, ma non sono cruenti. Sono mondi di fantasia dove te devi fare delle azioni e pensare bene prima di agire, altrimenti perdi. Mi immedesimo completamente nel mio personaggio e vivo sfide incredibili».

La comunità

Quelle davanti agli schermi le chiamano “relazioni virtuali”, ma lo sono davvero? Tutti i videogiochi online propongono una chat vocale tramite cui in diretta i giocatori possono confrontarsi sulla partita in corso e, un po’ come se fossero al telefono, restare a parlarne a gioco finito. Tanto che intorno al gaming online si crea una vera e propria comunità, dove si conoscono persone nuove o si coltivano amicizie. «Quello che mi piace è che posso giocare anche con amici che non abitano accanto a casa mia. E così, anche se sono distanti, giochiamo lo stesso insieme». La distanza fisica infatti non è più un problema: potenzialmente un giocatore di videogame dalla sua cameretta può interagire con chiunque nel mondo. Ma il non conoscere l’identità delle persone con cui nostro figlio trascorre i pomeriggi davanti allo schermo – così come non sapere con chi gioca al parco – genera inevitabilmente dei rischi. A riguardo la possibilità per i genitori di monitorare e controllare le attività di gioco dei loro figli online è poca, anche se qualcosa si può fare. Ad esempio in Fortnite, il videogioco online più popolare al momento fra i bambini, è possibile tramite il “parental control” con un codice di sicurezza filtrare il linguaggio “maturo” dalle chat, rifiutare automaticamente le richieste di amicizia, nascondere il proprio nome o quello dei giocatori sconosciuti e disattivare la chat vocale e testuale.

Lo studio su Milano

L’osservatorio Gap di Milano, sul tempo trascorso dai bambini ai videogiochi e sul controllo dei genitori sulla loro attività online, ha condotto un’indagine su 2.124 bambini di 53 scuole milanesi, intervistando gli alunni di quarta e quinta elementare. Dallo studio risulta che oltre la metà dei bambini (51%) giochi online con persone che non conosce e che i genitori di quasi 2 alunni su 10 non lo sappiano. E ancora che il 29% dei bambini non abbia fissato con mamma e papà dei limiti di tempo al gioco. Anche se, secondo lo studio, c’è un tempo di esposizione critico da non superare: due ore al giorno. «Serve equilibrio tra le attività all’aperto e le ore al pc o alla playstation – dice Pietro Carloni (nel gaming conosciuto come S1ck), 30 anni, appassionato di gaming fin dalle elementari – è un mondo che a un bambino può dare tanto, perché giocando mette alla prova le sue capacità e vive sfide avventurose come in qualsiasi altro sport. In più si confronta con players stranieri avendo la possibilità, come è successo a me, di parlare inglese fin da piccolo».

Un business da 120 miliardi di dollari

Online e non, il business dei gaming è diventato ormai un business mondiale enormi per ideatori e giocatori, che possono trarne profitto anche fin dalla più tenerà età. Negli anni si è trasformato in un vero e proprio sport: l’Electronic-sport (eSport). Tanto che si inizia a considerare la possibilità di vedere competizioni eSport come evento da medaglia per i Giochi Olimpici di Parigi del 2024. Il mondo dei gaming appare dunque una realtà con cui – ci piaccia o no – il confronto è inevitabile. 

 

 

Sofia Francioni

Laureata in Lettere Moderne e cresciuta dentro la redazione della cronaca della Nazione di Firenze, vorrebbe diventare una cronista "sconosciuta e felice"

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