Potrebbe sembrare il titolo di un romanzo e invece si tratta dei rituali portafortuna della neo campionessa olimpica, Stefania Constantini. Classe ’99, l’atleta di Cortina d’Ampezzo ha vinto la medaglia d’oro nel curling misto lo scorso 8 febbraio a Pechino. A raccontarci di lei e dei suoi rituali pre e post gara sono state l’ex datrice di lavoro, Ilaria Raso, store manager di uno dei negozi d’abbigliamento in Corso Italia a Cortina D’Ampezzo, dove per un anno e mezzo l’atleta ha lavorato come commessa, e l’amica d’infanzia, Giulia Morone.
Da una settimana non si smette di parlare dello strepitoso traguardo di Stefania Constantini. Facciamole cambiare per un attimo la divisa da atleta con quella da commessa, com’era Stefania al lavoro?
«Per me Stefi, era intoccabile, lo sapevano tutti in negozio. La determinazione che ha nello sport, l’ha sempre dimostrata anche nella vita reale. Tutti gli obiettivi che le sono stati chiesti dall’azienda li ha sempre portati a termine come solo lei sa fare».
Cosa ricordi di più di lei durante le vostre giornate insieme?
«La sua umiltà. A volte capitava che per il tanto lavoro ci trovavamo a pranzare sedute dietro alla cassa o in magazzino, tra un panino o dei bocconcini di sushi e tante tante risate. Ovviamente poi tutti i racconti sul curling e la sua mania dei calzini, non la scorderò mai. Dopo ogni partita li lava, è il suo rito scaramantico».
Li hai mai visti questi calzini?
«Quelli che portava in negozio si. Quelli da post gara sudati no, per fortuna (ride, ndr)».
Dov’eri quando ha fatto l’ultimo tiro?
«Io e i miei colleghi eravamo incollati alla tv nel pub vicino al negozio. La prima cosa che ho fatto è stato mandarle un vocale con le voci di tutti noi. Ci ha fatto piangere fino alla fine. Tutta Cortina tifava per lei».
E direttamente dal divano di casa Constantini, pure l’amica del cuore Giulia Morone era tra gli ampezzani incollati al televisore in attesa del tiro finale di Stefania. Amiche nella vita e nello sport, hanno iniziato a giocare a curling all’età di 7 anni arrivando a vincere insieme i campionati italiani. Poi Giulia ha deciso di spostarsi a Brunico per intraprendere gli studi universitari, lasciando così a malincuore il curling ma preservando sempre la passione per questo sport.
Giulia, qual è il ricordo più bello che hai di te e Stefania sul ghiaccio?
«Senza alcun dubbio, il tragitto in apercar per andare agli allenamenti. Lei abitava vicino a casa mia e mi passava a prendere con l’ape, caricavamo il borsone e le scope sul cassone. Direzione palaghiaccio con la musica a palla. Ci cambiavamo al volo in spogliatoio e lei puntualmente si ricopriva le labbra di burro cacao. In continuazione, mille volte al giorno. Infatti la prendevamo sempre in giro».
Che emozione hai provato quando l’hai vista arrivare in finale?
«Mentre la guardavo fare l’ultimo tiro dentro di me mi sono detta “come fa a non pensare al fatto di essere alle Olimpiadi e che deve fare ultimo tiro e se sbaglia non prende l’oro” Io non credo che sarei riuscita a gestire quella situazione. Poi ho sentito gli applausi dalla tv ancora prima che la stone toccasse le altre due e ho detto: «ce l’ha fatta!».
Da ex atleta, riesci a spiegarci a parole quell’istante di tensione?
«È quasi impossibile descrivere quel momento. Si entra in una fase di trance, dove non sei veramente connessa al resto del mondo. Sei sul campo e sai che devi concentrarti solamente su quel tiro ma nel mentre vieni travolto da mille emozioni. C’è chi riesce a gestirle bene e chi invece si lascia trasportare di più. In questo momento, l’intesa con la propria squadra è fondamentale: non servono parole, solo gli sguardi. In queste Olimpiadi, Stefania ha saputo gestire la situazione come mai ho visto prima e dire che è stata pazzesca sarebbe riduttivo».
Cosa le hai scritto prima della gara?
«La sera prima della gara le ho inviato una nostra foto: eravamo noi da piccole a febbraio, fatalità, 2010 con la divisa della nostra prima squadra, il Curling Club Olimpia con in mano una coppa. Non ricordo se era un secondo o terzo posto, all’epoca non eravamo molto forti (ride ndr) e le chiedevo se avrebbe mai pensato che dodici anni dopo avrebbe giocato la finale alle Olimpiadi di Pechino. Il resto poi è storia».