<< Il nostro popolo non può perdere. La sua voce, la nostra voce, sarà ascoltata! Da oggi il nostro Paese cambia e ognuno dovrà dare il proprio contributo>>. A pronunciare queste parole, il 25 aprile 1984 a San Paolo, in Brasile, è Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira. Per tutti “O Doutor della Democrazia”. Sócrates, però, non è mai stato candidato e non ha mai corso per un’elezione. Anche perché in Brasile, dal 1964 stritolato da una dittatura militare, sentire parlare di certi argomenti era praticamente impossibile. Quel 25 aprile il parlamento brasiliano doveva votare per un emendamento, promosso dal deputato d’opposizione Dante de Oliveira, che se fosse passato avrebbe reintrodotto le elezioni presidenziali dirette nel Paese e Sócrates, con alcuni suoi compagni di squadra, è in piazza, schierato a fianco del movimento “Diretas Já” che chiede con forza da ormai un anno che il popolo possa tornare a esprimersi. I compagni di squadra sono del Corinthians, una delle squadre di calcio più amate e popolari di tutto il Brasile, perché Sócrates è un calciatore. Anzi, è qualcosa di più. È il capitano della Seleção trafitta al Mondiale di Spagna del 1982 dalla tripletta di Paolo Rossi ed è il simbolo principale della Democrazia corinthiana, il più incredibile esperimento socio-sportivo della storia del calcio.
Sócrates, una laurea in medicina e un talento unico per il gioco, non è l’unico a metterci la faccia perché accanto a lui si muovono con forza e convinzione altri giocatori del Corinthians. Walter Casagrande, attaccante ribelle ed estroverso, Wladimir, terzino sindacalista, e il direttore sportivo del club Adilson Monteiro Alves, professione ufficiale sociologo. Tutti insieme per riportare la democrazia in un Paese che l’aveva perduta per un colpo di Stato militare, partendo dai comportamenti e dalle azioni da tenere all’interno di una squadra di calcio. Perché anche il calcio in quegli anni in Brasile aveva risentito, e molto, della dittatura. Per i militari il “futebol” era lo strumento ideale per la loro propaganda e allora i club e la Nazionale erano stati militarizzati, con ai vertici uomini e personaggi direttamente scelti dai generali a capo del regime.
Sócrates però non ci sta e inizia a chiedersi perché non possano essere i giocatori a prendere le decisioni che li riguardano in prima persona all’interno dello spogliatoio, come orari degli allenamenti o l’andare o meno in ritiro prima delle partite. Senza alcuna imposizione dall’alto, ma solo attraverso il dialogo e il confronto tra le anime che compongono la squadra, in una filosofia che si sarebbe poi dovuta estendere a tutte le componenti del Corinthians. Come dovrebbe succedere in democrazia, in cui ogni voce ha uguale peso e importanza, a prescindere dalla posizione che occupa all’interno della piramide sociale. L’esempio del Timão, il soprannome della squadra, è rivoluzionario, mai visto prima, e neppure dopo, guardato con sospetto da chi non lo conosce ed è esterno a tutta la situazione.
Sono in molti a considerare Sócrates e compagni solo un allegro gruppo di anarchici scapestrati, privi di disciplina e concentrati più a parlare tra di loro per infinite ore che non a pensare a come vincere le partite. Il campo però aiuta a far vedere che sì, si può fare. La squadra vincerà per due anni consecutivi, 1982-1983, il campionato dello stato di San Paolo e la Democrazia corinthiana diventerà qualcosa di più di un semplice esperimento di autogoverno. Diventerà uno strumento in grado di portare dentro a un campo da calcio questioni politiche fondamentali e di travasare il calcio in una dimensione più grande e più importante di quella dei gol, delle vittorie e delle coppe.
Sarà un volano popolare straordinario per mettere pressione o come minimo in imbarazzo la giunta militare. Le iniziative, i gesti e le parole di Sócrates e del Corinthians si susseguono: l’invito sulle maglie ad andare a votare, a partecipare alle elezioni municipali del 1982, la scritta “Democrazia corinthiana” stampata e ben visibile sulle divise bianconere, l’ingresso in campo della squadra reggendo un enorme striscione con la frase “vincere o perdere, ma sempre con Democrazia” prima della finale del campionato dello stato di San Paolo del 1982, fino ad arrivare all’ esposizione pubblica, all’ appoggio diretto e inequivocabile del 1984 per il ritorno delle elezioni presidenziali dirette in tutto il Brasile. L’emendamento il 25 aprile non passerà per le assenze e le astensioni di tanti deputati del Parlamento e il percorso legislativo per la sua approvazione naufragherà senza possibilità di recupero. Il Paese tornerà comunque a eleggere direttamente il presidente della repubblica a partire dal 1989.
Sócrates lascerà il Brasile e il Corinthians, come promesso in caso di bocciatura dell’emendamento Dante de Oliveira, per accettare tra le tante offerte la proposta della Fiorentina e della Serie A. La Democrazia corinthiana perde il suo totem di riferimento e in qualche modo continua il suo percorso fino al 1986, ma senza la stessa dirompente spinta di prima. Non importa, perché il seme della democrazia è stato ormai piantato e non può più essere estirpato. Perché quel seme ha il compito fondamentale di rimettere le cose tutte quante al loro posto. Uomo speciale, Sócrates se n’è andato come voleva lui, ma questa volta la frase va intesa in senso letterale. In un’intervista del 1983, infatti, aveva dichiarato: << La mia morte? Se ci penso vorrei morire di domenica, e col Corinthians campione>>. Domenica 4 dicembre 2011, a 57 anni, un’infezione al fegato si porta via sempre “O Doutor”. In quel giorno il Corinthians, pareggiando 0-0 contro gli eterni rivali del Palmeiras, torna campione del Brasile a sei anni dall’ultima volta.