È il 6 agosto del 2012 quando il podista italiano Alex Schwazer risulta positivo ai controlli antidoping effettuati il 30 luglio dello stesso anno, alla vigilia dei Giochi olimpici di Londra. Si tratta di uno shock per la delegazione azzurra: il campione olimpico in carica dei 50 chilometri di marcia non potrà gareggiare.
È solo l’inizio di una spirale di buio, bugie e squalifiche per l’atleta bolzanino. Nel 2016 Schwazer rientra in attività in occasione dei Mondiali a squadre, vince la 50 Km e stacca il pass per i Giochi olimpici di Rio de Janeiro. Ancora una volta, però, è un controllo antidoping a fermarlo: le analisi risultano di nuovo positive e il Tribunale Arbitrale dello sport, considerata la seconda violazione delle norme antidoping, lo squalifica per 8 anni, cancellando tutti i risultati sportivi ottenuti nel 2016.
Una pagina buia per lo sport italiano, ma Alex Schwazer è solo un nome nella lunga lista di casi di doping che hanno coinvolto il mondo sportivo.
Il primo in assoluto risale al 1904. Thomas Hicks, maratoneta statunitense, vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di St. Louis dopo che per ben due volte, lungo il tragitto, il suo allenatore gli aveva somministrato del solfato di stricnina, uno stimolante diffuso in quegli anni. Nonostante il palese utilizzo della sostanza, Hicks non viene squalificato e sale sul gradino più alto del podio. Nel 1904, infatti, non esistevano le norme antidoping e non si parlava di sostanze proibite.
I primi controlli vengono introdotti nel 1967, quando il Comitato olimpico decide di istituire una commissione medica per effettuare le prime verifiche antidoping a partire dai Giochi invernali ed estivi del 1968. La decisione viene maturata in seguito a quanto accaduto alle Olimpiadi di Roma del 1960. Il ciclista danese Knud Enemark Jensen, durante la 100 chilometri, cade ed entra in coma. Si pensa subito ad un malore dovuto alla calura estiva, ma i risultati dell’autopsia evidenziano che l’atleta aveva fatto uso di sostanze dopanti. La tragedia induce il Comitato olimpico a regolamentare la questione doping.
A un anno dall’introduzione della commissione medica, durante le Olimpiadi di Città del Messico del 1968, il Cio applica la prima squalifica per doping. Nel mirino lo svedese Hans LilJenwall, in gara nel pentathlon, trovato con una quantità eccessiva di alcool nel corpo. Nonostante i tentativi di giustificazione da parte dell’atleta, che giura di aver bevuto un paio di birre per stemperare la tensione, LilJenwall è costretto a restituire la medaglia conquistata.
I casi di doping toccano anche il mondo del calcio. Uno dei giocatori più grandi di tutti i tempi è stato squalificato due volte per uso di sostanze illecite. Si tratta di Diego Armando Maradona. La mano de Dios viene trovato positivo alla cocaina nel 1991. L’episodio si conclude con due anni di squalifica e la fine della sua carriera al Napoli. Passano solo tre anni e l’attaccante argentino viene espulso dai Mondiali dopo che le analisi dimostrano la presenza nel corpo di efedrina, una sostanza stimolante illecita.
Dal calcio al ciclismo. Uno dei casi più emblematici e meno chiari della storia dello sport italiano riguarda senza dubbio Marco Pantani. Il vincitore di un Giro d’Italia e di un Tour de France viene escluso dal Giro del 1999 a causa di un valore di ematocrito nel sangue superiore alla soglia consentita. Il Pirata, che si trova all’apice della sua carriera, è sospeso per 15 giorni ed è costretto a lasciare la gara. Pantani non verrà mai squalificato per doping, nonostante gli alti valori di ematocrito segnalassero la possibile assunzione di eritropoietina, ma l’episodio segna la fine della sua carriera ad alti livelli.
Sempre all’interno del mondo del ciclismo, famoso è il caso di Lance Armstrong. Vincitore per sette volte consecutive del Tour de France dal 1999 al 2005, vede sfumare le sue conquiste in seguito alla revoca dei risultati ottenuti dal 1° agosto 1998 alla fine della carriera, da parte dell’Unione Ciclistica internazionale e dal Comitato Olimpico. La decisione viene maturata in seguito all’accertamento dell’uso sistematico di pratiche dopanti da parte di Armstrong e della sua squadra, l’US Postal.
Più recente è il caso che ha sconvolto il mondo del tennis. Il 7 marzo 2016 Maria Sharapova dichiara di essere stata trovata positiva al controllo antidoping su un campione fornito durante gli Australian Open. La campionessa russa aveva assunto il farmaco Meldonium, aggiunto alla lista delle sostanze dopanti il 16 settembre 2015, con effetto a partire dal gennaio 2016. Inizialmente La Federazione Internazionale del Tennis stabilisce 2 anni di squalifica per l’atleta, la quale vince il ricorso e ottiene una riduzione della pena a 1 anno e 3 mesi.
Lo scandalo doping più imponente di tutti i tempi è però quello che si è abbattuto sull’atletica russa. La Commissione della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha presentato un report dai riscontri agghiaccianti. Negli ultimi anni la Russia avrebbe praticato un vero e proprio doping di Stato, creando un’organizzazione votata alla manipolazione dei risultati. Ai Giochi olimpici del 2016 il Comitato Olimpico e il Comitato Paralimpico vengono invitati ad escludere la Russia dall’imminente manifestazione. Il Comitato Paralimpico squalifica l’intera delegazione russa, mentre il Cio non prende posizione e rimanda la decisione alle singole federazioni sportive internazionali: di queste solo quella di atletica e di sollevamento pesi escludono la squadra russa. Viene poi istituita una commissione che ammette ai Giochi 271 atleti dei 389 proposti dal Comitato Olimpico Russo.