La rivoluzione ecologica: il motorsport si tinge di verde

“Green” è una parola chiave della società moderna. Con la coscienza ambientale delle persone in costante aumento, ogni settore della nostra vita è diventato ecologico. Ridurre l’impatto umano sull’ecosistema terrestre è un dovere di tutti. Ecco perché anche un segmento da sempre sotto accusa per l’inquinamento ha dovuto adeguarsi: quello delle automobili.

I combustibili fossili finiranno. È la scienza che lo dice: prima o poi il petrolio si esaurirà e i suoi derivati non potranno più essere prodotti. Addio benzina, addio gasolio. E allora la soluzione è abbandonare il motore a combustione interna e cercare un sistema di propulsione che rispetti l’ambiente. Negli anni si sono susseguiti gli esperimenti, ma le soluzioni che si sono affermate finora sono due. La prima è l’ibrido, che affianca un motore a scoppio a uno elettrico, con lo scopo di ridurre le emissioni e utilizzare la propulsione ecologica in città e per gli spostamenti brevi. La seconda è l’automobile a batteria, a emissioni zero e che si ricarica direttamente dalla presa di corrente. Altre idee sono state messe in pratica, come l’alimentazione a idrogeno, ma finora non hanno avuto un seguito commerciale.

Da sempre lo sport automobilistico è stato il banco di prova perfetto per le innovazioni che vengono introdotte sulle vetture stradali. Diversi componenti trasferiti sulle vetture di serie sono stati estensivamente provati in condizioni di massimo sforzo durante competizioni agonistiche.

 

Il pinnacolo del motorsport

Una power unit Mercedes di Formula Uno. La scatola marrone è l’alloggiamento delle batterie

Per verificare le piene potenzialità della propulsione ibrida ed elettrica, quale modo migliore che consentire a grandi case automobilistiche di investire milioni di euro per realizzare i motori più efficienti possibili? La Formula Uno, massima serie del motorsport, si è convertita al “green” nel 2014, mandando in pensione i vecchi motori che bruciavano galloni di benzina mentre spingevano a pieno regime. In tanti se li ricordano, i tempi del V12, e quasi tutti li rimpiangono. Eppure lo sviluppo tecnologico è lineare e non può fermarsi. L’era della power unit ha consentito di affinare lo sviluppo del sistema ibrido di propulsione, velocizzando non poco il processo di evoluzione di questa soluzione e la sua applicabilità alle vetture stradali. D’altro canto, gli appassionati si lamentano della perdita di quel suono iconico a causa della continua riduzione della cilindrata (oggi 1600 cm3) e del numero dei cilindri (ora 6). Per i piloti ci sono nuove sfide, come la gestione del recupero dell’energia, mentre i costruttori devono stare attenti all’affidabilità: motori più complicati hanno più possibilità di rompersi. Inoltre, il regolamento prevede un numero limitato di componenti che possono essere utilizzate nel corso della stagione, per cui ognuna di esse dovrà essere a pieno regime per il maggior numero di gare possibili per evitare di incorrere in penalità.

 

La sfida per eccellenza

L’Audi R18 e-tron quattro è stata la prima ibrida a vincere la 24 ore di Le Mans, nel 2012. Da quel momento, solo vetture a doppia propulsione si sono imposte nella classica francese

Ancora prima della Formula Uno, la conversione all’ibrido è arrivata in una delle gare più iconiche del motorsport: la 24 ore di Le Mans. A parte qualche privato che ha sperimentato con la tecnologia, l’introduzione di vetture con doppia propulsione è avvenuta nel 2012: quell’anno è nato il Mondiale Endurance, competizione stagionale con diverse gare di durata (dalle 6 alle 12 ore) e la classica francese come appuntamento clou. Proprio con la nascita di un titolo iridato, diverse case automobilistiche hanno scelto di investire nel progetto presentando vetture con motore ibrido: Audi, che già da dieci anni dominava la scena, e Toyota. Negli anni successivi si sono aggiunte anche Porsche e Nissan (con alterne fortune), ciascuna con il suo concetto differente. La bellezza di questa competizione era la possibilità per ogni costruttore di scegliere liberamente la strada da seguire. Sono nate così auto “a trazione integrale inseribile”, per così dire, con i motori elettrici posti sulle ruote anteriori a dare potenza aggiuntiva in uscita dalle curve, ma si sono visti anche tentativi più estremi come quello di Nissan, che ha temerariamente provato a costruire un prototipo a trazione anteriore. L’esperimento è fallito in maniera decisiva, spingendo i giapponesi a ritirare immediatamente l’impegno nonostante le centinaia di milioni di euro investiti tra ricerca, sviluppo e  pubblicità.

Lo scandalo “Dieselgate” di Volkswagen ha colpito pesantemente il mondo dell’endurance, spingendo prima Audi e poi Porsche a lasciare. Toyota ha continuato anche senza concorrenza, conquistando finalmente l’agognata vittoria alla classica francese nel 2018 e rinnovando l’impegno con i nuovi regolamenti che entreranno in vigore nel 2020. Per allora, l’ente che organizza il Mondiale si aspetta di coinvolgere altre case automobilistiche: il motore ibrido nella massima categoria non è obbligatorio, tanto che Aston Martin ha scelto di partecipare con una vettura che ne sarà sprovvista, ma Toyota e Peugeot, che ha annunciato l’impegno a partire dal 2022, vogliono continuare sulla strada della doppia propulsione.

 

Correre a impatto zero

Se anche l’ibrido non fosse abbastanza, lo sport automobilistico ha ormai accolto anche l’elettrico nel suo novero. La Formula E è nata da un’idea dello spagnolo Alejandro Agag, che racconta di averla avuta nel 2011, seduto a un tavolo con i presidenti di FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) e Parlamento Europeo, Jean Todt e Antonio Tajani: far gareggiare vetture completamente elettriche su circuiti cittadini allestiti appositamente in ogni parte del mondo. Nel 2014 a Pechino quell’idea è diventata realtà  e da allora i progressi non si sono più arrestati.

La partenza della prima storica gara di Formula E a Pechino, nel 2014

Inizialmente tutte le vetture erano identiche, con un unico fornitore di telaio e propulsore, e con la carica di batteria riuscivano a coprire poco più di metà della distanza di gara. Era perciò necessario un cambio auto per arrivare in fondo. Nella stagione appena conclusa sono stati introdotti nuovi mezzi, più sofisticati e avveniristici, ma soprattutto in grado di completare i 45 minuti di una corsa. Dalla stagione 2020/2021 anche la Formula E potrà fregiarsi del titolo di Campionato del Mondo, un riconoscimento meritato visti gli sforzi profusi e l’altissimo livello dei piloti. Il più grande attestato di maturità della categoria è arrivato con l’impegno di diversi colossi automobilistici: Audi e Renault sono stati presenti fin dall’inizio, mentre Citroën, Jaguar e Mahindra si sono aggiunte con il libero sviluppo dei motori. Con l’avvento delle auto di nuova generazione, Renault ha ceduto la squadra a Nissan, mentre si sono aggiunte BMW, Mercedes e Porsche. Le case dimostrano interesse verso il progetto, che consente loro di sperimentare con le soluzioni. Agag è riuscito nell’intento di portare il motorsport nelle città di tutto il mondo, da Santiago  del Cile a Giacarta, passando per Londra, Roma e New York.

L’aspetto forse più avveniristico della Formula E è l’introduzione nella categoria di innovazioni regolamentari che sembrano mutuate direttamente dai videogiochi. Nel tentativo di coinvolgere un pubblico scettico e dubbioso di fronte a veicoli elettrici che emettono un sibilo poco emozionante, sono state inserite nella categoria delle variabili che consentono agli appassionati di contribuire in maniera importante all’esito di una gara: un engagement di questo tipo non si è mai visto nel motorsport. Dapprima il Fanboost, un voto online nei giorni precedenti una corsa che consente al pubblico di esprimere la propria preferenza verso un pilota: i 5 più scelti avrebbero avuto a disposizione in gara un aumento di potenza per un tempo limitato. Successivamente è stata creata anche l’Attack Mode, una modalità di motore che garantisce 25 kW extra per quattro minuti. Ogni pilota è obbligato ad attivarla due volte nella gara: per farlo deve attraversare una specifica zona del circuito fuori dalla linea di gara, in modo non troppo diverso da come si farebbe nel videogioco Mario Kart per prendere il turbo. Questa variabile serve a movimentare ulteriormente delle gare che hanno dimostrato largamente di essere spettacolari e combattute.

Nell’immagine si vede la procedura da seguire per attivare l’Attack Mode. In verde la traiettoria di gara, in azzurro quella necessaria per avere la potenza supplementare disponibile

Che il futuro dell’automobile, e di conseguenza anche del motorsport, sia legato all’ibrido e all’elettrico è ormai chiaro. Lo dimostra ancora di più la scelta forte di Volkswagen, che ha deciso di terminare ogni impegno nelle categorie sportive che richiedono un motore endotermico. Già da qualche anno la casa di Wolfsburg aveva lasciato il Mondiale Rally in veste ufficiale, ma continuava a produrre vetture da vendere ai team privati in categorie come il Mondiale Turismo. Ora si concentrerà esclusivamente sulla mobilità elettrica.

Per il momento sono ancora le grandi case costruttrici a essere protagoniste nel settore ibrido ed elettrico del motorsport, ma alcuni piccoli segnali dimostrano che l’interesse può essere allargato anche ai privati. Oltre alla Formula Uno, infatti, sono già state preparate delle piccole vetture a ruote scoperte, equivalenti all’attuale Formula 4, categoria propedeutica per i giovani appena usciti dal karting, che si avvalgono di doppia propulsione. Per il momento esiste una flotta di 20 auto, prodotta da KCMG, azienda di Hong Kong. Le abbiamo già viste in azione ai recenti FIA Motorsport Games, che si sono tenuti sul circuito di Vallelunga vicino a Roma. Si tratta di un esperimento, per ora, ma dimostra che la possibilità di estendere la motorizzazione ibrida ed elettrica anche alle categorie meno elitarie esiste. È solo questione di tempo.

@AleFollis on Twitter

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