Inizieranno il 9 febbraio i XXIII Giochi olimpici invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud. Un’edizione che potrebbe assumere una portata storica se, come pare probabile, dovesse segnare un riavvicinamento tra le due Coree, con la presenza di una delegazione del Nord. A quattro settimane dalla cerimonia d’apertura, iniziamo un viaggio a puntate attraverso la storia, le novità e i personaggi delle Olimpiadi. A partire da una sfida nella quale si sono intrecciate come poche altre volte vicende politiche e sportive.
Meglio delle quattro medaglie d’oro di Jesse Owens sotto gli occhi di Hitler, degli otto titoli olimpici di Michael Phelps a Pechino 2008 e del Dream Team di Barcellona ’92. Secondo Sports Illustrated, la Bibbia dello sport americano, il più grande momento della storia sportiva statunitense è una partita di hockey. “La” partita; tanto speciale da meritare un nome proprio, come i più grandi incontri di Muhammad Ali, dal Rumble in the jungle contro George Foreman al Thrilla in Manila contro Joe Frazier. Per gli americani, la vittoria sull’Unione Sovietica ai Giochi Olimpici di Lake Placid 1980 è semplicemente The miracle on ice, «il miracolo sul ghiaccio».
Nel febbraio 1980, il clima è di piena Guerra Fredda. ll presidente americano, Jimmy Carter, valuta l’ipotesi di boicottare le Olimpiadi estive, in programma a luglio a Mosca. Così sarà, come ritorsione contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre ‘79. Una dimensione politica che affianca quella sportiva: il successo di giocatori dilettanti contro una delle squadre più forti della storia.
Solo in occasione dei Giochi di Calgary, nel 1988, i professionisti saranno ammessi alle Olimpiadi. A Lake Placid, gli Usa schierano perciò una formazione di soli dilettanti, scelti dall’allenatore, Herb Brooks, fra gli studenti dei college. L’età media è di 21 anni: la più bassa del torneo olimpico 1980. Uno dei meno giovani è il capitano, l’italo-americano Mike Eruzione. Cugino di Connie, la moglie della bandiera della Lazio Giorgio Chinaglia, diventerà l’eroe del “Miracolo”.
Dilettanti sono, formalmente, anche i sovietici, che risultano impiegati in industrie o corpi militari, atleti solo per hobby nelle squadre sponsorizzate dai loro datori di lavoro. In realtà Vladislav Tretjak, considerato il più grande portiere della storia dell’hockey, gioca a tempo pieno nel Cska Mosca, la squadra dell’Armata Rossa. Al pari di Valeri Kharmalov, Vjačeslav Fetisov e Sergej Makarov, tutti introdotti in seguito nella Hall of Fame. Altri figurano come membri del Kgb, oppure come impiegati nell’industria aeronautica. Di fatto, sono tutti professionisti.
Nelle precedenti quattro edizioni dei Giochi, dopo la sconfitta a sorpresa contro gli americani a Squaw Valley nel ’60, i sovietici hanno vinto 27 partite su 29 e 4 ori su 4. A tre giorni dall’esordio olimpico, Urss e Usa si incontrano per l’ultima amichevole di preparazione: finisce 10-3 per Tretjak e compagni.
Come da pronostico, l’Unione Sovietica passa il primo turno con 5 vittorie in altrettante partite. Gli Usa, settimi nella griglia dei favoriti secondo i bookmaker, sorprendono. Si qualificano con 4 successi e un pareggio contro la fortissima Svezia.
Le medaglie vengono assegnate in un raggruppamento a quattro, con le migliori due di ciascun girone eliminatorio: ogni squadra conserva i punti ottenuti contro l’altra qualificata incontrata nella prima fase e affronta le due superstiti dell’altro gruppo. Il “Miracolo” è la prima partita del girone finale, alle 5 del pomeriggio del 22 febbraio.
Il commissario tecnico dell’Urss, Viktor Tikhonov, individuerà il «momento di svolta» della gara nel finale del primo tempo. In vantaggio dopo 9 minuti, i sovietici vengono raggiunti 5 minuti più tardi da un tiro dalla lunga distanza di Buzz Schneider. «Non ti aspetti che un portiere come Tretjak incassi un gol del genere», convengono il telecronista della Abc, Al Michaels, e il commentatore tecnico, l’ex portiere canadese Ken Dryden. E il portiere più forte al mondo fa peggio, dopo che i suoi sono tornati in vantaggio. A 5 secondi dallo scadere della frazione, Dave Christian lascia partire un innocuo tiro della disperazione da centrocampo. La respinta di Tretjak è goffa; sul dischetto piomba Mark Johnson, che da due passi pareggia per la seconda volta, con un secondo sul cronometro. Quando le squadre tornano sul ghiaccio, la porta sovietica è difesa da Vladimir Myshkin della Dinamo Mosca. «Il più grande errore della mia carriera», ammetterà Tikhonov.
Nel secondo tempo, gli americani non approfittano dell’uscita di Tretjak. Anche perché attaccano solo i sovietici: 12 tiri a 2. L’Urss, però, segna solo una volta, frenata dalla giornata di grazia del portiere Craig. E paga dopo 8 minuti del terzo e ultimo tempo, quando ancora Johnson, a 3’’ dallo scadere di una superiorità numerica, segna il 3-3. Passa poco più di un minuto e una carambola spedisce il disco verso il capitano Mike Eruzione. Myshkin, coperto da un compagno, non vede partire il tiro e incassa il 4-3.
«Do you believe in miracles?»
– Al Michaels, commentatore della Abc, a pochi secondi dal termine della partita
«Una volta in svantaggio, siamo stati presi dal panico», spiegherà Sergei Starikov, che nel 1989 diventerà uno dei primi sovietici a firmare un contratto da professionista negli Stati Uniti, con i New Jersey Devils. Panico che non impedisce all’Urss di prendere ancora d’assedio la porta americana: alla fine, Craig avrà parato 36 tiri. L’ultimo a 33’’ dal termine, prima di una mischia furibonda a pochi passa dalla porta. Johnson ne esce con il disco, Ken Morrow lo allontana, il pubblico scandisce il conto alla rovescia mentre Al Michaels pronuncia la domanda più celebre della storia del giornalismo sportivo televisivo americano: «Do you believe in miracles?». La corsa sul ghiaccio dei giocatori americani a fine partita viene immortalata da Heinz Kluetmeier, in una fotografia che diventa la copertina di Sports Illustrated del 3 marzo 1980. Senza titolo: «Non ce n’era bisogno. Tutti in America sapevano di cosa si parlava», spiegherà l’autore dello scatto.
Due giorni dopo, gli Stati Uniti rischiano di buttare la medaglia d’oro. A due terzi di gara, l’Olympic Fieldhouse di Lake Placid viene gelato da Mikko Leinonen, che porta in vantaggio per 2-1 la Finlandia. Servono i gol di Phil Verchota e Rob McClanahan per scongiurare lo psicodramma sportivo. È il 4-2 del solito Mark Johnson a dare il via alla festa degli 8mila spettatori, tra cui il vicepresidente Walter Mondale, la figlia di Jimmy Carter, Amy, e il re dei Giochi, Eric Heiden, pattinatore da 5 medaglie d’oro. Secondo il cerimoniale dell’epoca, sul podio sale solo il capitano, Mike Eruzione. L’uomo simbolo del Miracolo sul ghiaccio, che non diventerà mai neppure professionista.