Mario Balotelli, Zlatan Ibrahimović, Paul Pogba, Blaise Matuidi, Marco Verratti, Romelu Lukaku e, naturalmente, Gigio Donnarumma. Questi i nomi dei calciatori più noti nella scuderia di Mino Raiola, il procuratore che, tra contratti da stracciare e dichiarazioni sopra le righe, continua a far parlare di sé. Una domanda sorge spontanea: come ha fatto un pizzaiolo salernitano ad arrivare così in alto? Nato a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, Raiola si trasferisce in Olanda quando ha soltanto un anno. I suoi aprono una pizzeria dove Mino lavora come cameriere. Inizia a interessarsi dei conti del locale, studia legge e presto diventa direttore della squadra di calcio locale, imparando nel frattempo a comunicare in sette lingue: italiano, olandese, inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. All’inizio è il responsabile delle giovanili dell’Haarlem, poi direttore sportivo della prima squadra dopo aver convinto il presidente, che ogni venerdì andava a cena al ristorante della famiglia con la moglie. Mino gli diceva: «Di calcio non capisci niente», fino al «provaci tu» che gli apre la strada. Prima di Raiola, il mercato internazionale degli olandesi lo curavano Coster Cor e Apollonius Konijnenburg, che guidavano la Interpro, la società che aveva quasi venduto van Basten alla Fiorentina nel 1986 prima di riuscire a chiudere con il Milan un anno dopo. Coster Cor non era un personaggio anonimo, ma un ricco ex commerciante di diamanti e suocero di Cruijff. Raiola intuisce subito la possibilità di fare affari: a quei tempi l’Ajax prendeva giocatori dalle giovanili delle altre società a un parametro basso e poi li vendeva all’estero. Mino prima propone a Ferlaino di far comprare l’Haarlem dal Napoli, poi comprende l’impossibilità dell’operazione e inizia a muoversi da solo. Cura i trasferimenti degli olandesi altrove, fino a diventare il rappresentante di tutti i calciatori orange grazie a un accordo con il sindacato, con tanti saluti a Cor e Konijnenburg. Raiola diventa agente FIFA e abbandona ogni altra attività imprenditoriale: in Olanda aveva persino acquistato e rivenduto un McDonald’s, entrando nel Consiglio degli imprenditori di Haarlem. Il primo affare in Italia è l’arrivo di Bryan Roy al Foggia nel 1992, poi Mino diventa davvero famoso per Bergkamp e Jonk all’Inter l’anno seguente, soprattutto perché il Napoli offriva (all’Ajax) 28 miliardi di lire solo per il primo e i nerazzurri ne pagarono 25 per entrambi, secondo un ragionamento semplice: spendi meno con la società, alzi l’ingaggio ai miei giocatori. Come fa con il Genoa, a cui regala Marciano Vink: Spinelli offriva 10 miliardi di lire, Raiola lo cede a 2 a patto che il suo assistito ottenga un contratto più alto rispetto a tutti i compagni. Presto fatto, affare concluso. Raiola guadagna dalle commissioni sullo stipendio e dalle commissioni sul passaggio da una squadra all’altra, le percentuali variano da calciatore a calciatore, ma è una macchina da soldi che non si ferma mai. È sempre Mino a curare il passaggio di Pavel Nedved alla Lazio e alla Juve, poi arriva la svolta della carriera, che ha un nome e un cognome: Zlatan Ibrahimović.
Il 23enne svedese dell’Ajax è in cerca di un nuovo agente e chiede al giornalista Thijs Slegers se ha qualcuno da consigliarli. Il giornalista gli fa subito il nome della società che al tempo rappresentava David Beckham, prima di aggiungere: “Certo, ci sarebbe anche un altro tizio, ma… è una specie di mafioso”. Ibra, incuriosito, accetta il suggerimento e si ritrova davanti a un ragazzone sovrappeso in jeans e t-shirt, non esattamente il classico procuratore in giacca e cravatta. Un’altra sorpresa arriva al tavolo del ristorante: “Mino, hai ordinato per cinque persone, chi deve mangiare tutta questa roba?”. “Non ti preoccupare”, risponde tranquillo Raiola prima di divorare tutto. Durante le negoziazioni per il passaggio di Zlatan dall’Ajax alla Juventus nel 2004, sarebbe arrivato un altro shock legato al look di Raiola, che si presenta davanti ai dirigenti delle due squadre con una sgargiante camicia hawaiana. A fare la storia, sua e del suo assistito, non furono certo le accortezze formali, ma i dialoghi schietti, come il primo tra i due: «Ti credi figo, eh? Credi di potermi impressionare con il tuo orologio e la tua Porsche, ma non è così. Io penso che siano tutte cazzate. Vuoi diventare il migliore del mondo, oppure quello che guadagna di più?». «Il migliore del mondo». «Allora bene, perché se diventi il migliore del mondo poi arriverà tutto il resto, ma se insegui solo il denaro allora non otterrai mai niente. Dovrai vendere tutte le tue macchine, tutti i tuoi orologi e cominciare ad allenarti tre volte più duramente, perché adesso la tua statistica fa schifo.» La storia dello svedese da quel momento in poi è un po’ la biografia di Raiola, il “ciccione” che gli mostrò il numero di gol di Vieri, Inzaghi e Trezeguet per dirgli la strada da seguire. Il procuratore campano è sempre stato abile nel comprendere la psiche dei suoi clienti, probabilmente perché viene da un ambiente simile a quello dove sono cresciuti molti di loro, dove devi combattere per sopravvivere e lottare ancora di più ottenere quello che vuoi. Il suo modus operandi travolgente diventa metodo ideale per condurre trattative feroci. Lo amano i calciatori, non le società, i giornalisti ne ricavano titoli, soprattutto quando arrivano gli ormai celebri “mal di pancia” di chi vuole cambiare squadra in fretta. Il mito della “volontà del giocatore” si manifesta quando Raiola ha già deciso quale sarà la prossima mossa. Si può pensare che sia soltanto un pazzo arrogante, ma la ricetta che propone non ha niente di improvvisato: combattere sempre per gli interessi dei suoi assistiti, facendoli sentire in famiglia e aggredendo chiunque si metta in mezzo, comprese ovviamente le società che li stipendiano. La compagnia di Raiola, chiamata Jerry “Show me the Money” Maguire in onore del procuratore sportivo cinematografico interpretato da Tom Cruise, fattura ogni anno milioni di euro. Come dimostra la vicenda Donnarumma, Raiola è disposto a tutto per far cambiare squadra ai suoi assistiti e guadagnare sulle commissioni, senza porsi particolari scrupoli. La violenza morale che Gigio avrebbe subìto al momento della firma è solo l’ultimo degli escamotage di Raiola, un pretesto che ha incendiato gli animi dei tifosi rossoneri. La contestazione è esplosa a San Siro durante il match di Coppa Italia contro il Verona, tra striscioni e cori di insulti.
Mino, come sempre, non sta pensando a loro, ma al suo portafoglio e a quello della famiglia Donnarumma. Se il prolungamento del contratto diventa carta straccia, il portiere può andarsene a parametro zero a giugno. Il Psg e il Real sono già alla finestra, e Raiola si frega le mani pregustando l’ennesimo successo.