Entrare nella storia di Wimbledon è il sogno di ogni tennista e un privilegio riservato a pochi. Ci sono riusciti Roger Federer e Martina Navratilova, rispettivamente l’uomo e la donna più vincenti in questo torneo. Ce l’ha fatta William Renshaw, il britannico con più titoli all’All England Club. Boris Becker, il più giovane vincitore di sempre. Goran Ivanisevic, l’unico tennista a trionfare sull’erba londinese partendo in tabellone grazie a una wild card. E con loro, tanti altri giocatori che fanno parte della memoria di Wimbledon e quindi del tennis.
Insomma, per lasciare un segno indelebile nel torneo di tennis più antico del mondo (nel 1877 la prima edizione) serve compiere un’impresa speciale, quasi irripetibile. Insieme a questi nomi, vere e proprie icone di questo sport, ci sono anche John Isner e Nicolas Mahut. Non godono della fama e non hanno in bacheca i titoli delle leggende di Wimbledon, ma il destino ha comunque riservato loro una porta da aprire, il cui accesso significa gloria eterna.
Il 24 giugno 2010, esattamente dieci anni fa, i due tennisti hanno portato a termine la partita più lunga della storia del tennis. La durata? Undici ore e cinque minuti, spalmate su tre giorni.
Un match di primo turno che, nelle previsioni, aveva ben poco da dire – tanto da essere assegnato al campo 18 – e poche storie da raccontare. John Isner, statunitense all’epoca 25enne, era il numero 19 del mondo e stava iniziando a costruirsi un nome e una carriera che sarebbe diventata più che rispettabile negli anni successivi. Conosciuto nell’ambiente come la naturale evoluzione di Ivo Karlovic, il battitore migliore del mondo, dall’alto dei suoi 2.08 metri Isner gode di un servizio terrificante: raggiunge facilmente i 230 km/h e offre una varietà invidiabile. Strappargli un break è come superare le sette fatiche di Ercole. Il tutto è accompagnato da un solido e potente dritto e un buon gioco a rete. Punti deboli: il rovescio e la corsa.
Nicolas Mahut, francese classe 1982, è invece un altro tipo di giocatore. Non ha un fondamentale in cui arranca ma nemmeno un colpo in cui eccelle. Avrebbe le carte in regola per essere un top-30, ma la sua attitudine non gli ha mai permesso di essere costante fino a quel momento. Si presenta al tabellone principale di Wimbledon da numero 148 del mondo e già con parecchio carburante in corpo dopo aver superato le qualificazioni.
L’esito della partita sembra quindi scontato. La potenza di Isner dovrebbe travolgere Mahut. L’incontro inizia alle 18.18 del 22 giugno e viene interrotto alle 21.03, sul punteggio di due set pari (6-4, 3-6, 6-7, 7-6), a causa del calar della sera. Un match combattuto quindi, soprattutto grazie al tennista francese, in grande spolvero.
Durante ogni edizione di Wimbledon succede che alcune partite, soprattutto i primi turni, finiscano il giorno dopo. Quello che non è mai successo è che un match si dilungasse addirittura per tre giorni. Nemmeno la pioggia londinese, storica compagna e a volte guastafeste del torneo, ha mai causato una durata così lunga.
Fino al 2019, a Wimbledon non è mai esistito il tie-break nel quinto set, perciò se due giocatori arrivavano sul 6-6 si proseguiva con i canonici game. Questa regola sarebbe stata cambiata solo l’anno scorso, con Isner ancora una volta protagonista: la sua semifinale nel 2018 con il sudafricano Kevin Anderson terminò al quinto set sul 26-24 e durò 6 ore e 36 minuti, costringendo il match successivo, quello tra Djokovic e Nadal, a terminare di sabato, il giorno prima della finale. Dopo questo evento fu introdotto il tie-break al quinto set, ma non sul 6 pari come negli altri tornei, bensì sul 12-12. La finale tra Djokovic e Federer del 2019 si concluse al quinto set proprio sul 13-12.
In ogni caso, Isner e Mahut non erano a conoscenza del loro destino. Il quinto set inizia alle 14.07 del 23 giugno, con la previsione di una conclusione nel giro di una, massimo due ore. Invece l’ultimo parziale si protrae sempre di più, i giocatori continuano a mantenere il proprio turno servizio a suon di ace e superano la doppia cifra di game vinti a testa.
La voce inizia a spargersi nell’All England Club e in poco tempo la partita sul campo 18 diventa più importante di quella sul sacro Centrale di Wimbledon. Già in pieno pomeriggio, alle ore 17,45 Isner e Mahut hanno abbattuto il record di durata per una partita (6 ore e 33 minuti), detenuto da Fabrice Santoro e Arnaud Clement in un match del Roland Garros 2004.
Ma nessuno dei due vuole uscire sconfitto da questa partita che già ha fatto storia. Il loro match manda perfino in tilt il tabellone segna punti, che rimane bloccato sul 47-47 in quanto programmato per arrivare fino a quel punteggio. Superato questo inconveniente, l’americano e il francese proseguono in un match che si può definire brutale. Isner quasi non si regge in piedi, ma sfodera la miglior prestazione al servizio della sua carriera. Mahut, a metà tra il coraggio e la follia, sembra accusare meno la fatica e corre su e giù, a destra e a sinistra per il campo, ma può ben poco contro le bordate del suo avversario. La sera fa di nuovo capolino su Wimbledon e, alle 21.13, l’incontro viene interrotto per la seconda volta e la sua fine rinviata ancora al giorno dopo.
John McEnroe, ex tennista americano tra i più famosi di sempre, vincitore di tre edizioni Wimbledon e commentatore per la Bbc nel torneo londinese, spinge per far sì che questo match da record si chiuda nella cornice migliore: il Campo Centrale. Gli organizzatori non ascoltano la sua richiesta e la partita è destinata a finire dove la magia è cominciata, ovvero sul campo 18.
La sfida riprende alle 15.42, nel giorno in cui il vincitore di questa sfida avrebbe dovuto giocare il secondo turno. Si arriva sul 68-68, con Mahut alla battuta. Isner trova improvvisamente le forze per strappare il break e chiudere la partita sul proprio servizio: 70-68. Il match più lungo di sempre si è chiuso dopo tre giorni, 11 ore e 5 minuti. L’americano, contento per la vittoria, abbraccia l’avversario, felice comunque per aver contribuito a un match epico.
Diversi i record battuti, oltre a quello della durata: maggior numero di game disputati, ace messi a segno (216: 113 per Isner, 103 per Mahut), set più lungo della storia, set col punteggio più alto. L’americano, senza forze, sarebbe stato poi eliminato il giorno successivo in maniera agevole da Thiemo de Bakker, ma poco importa.
Isner e Mahut si sarebbero incontrati nuovamente al primo turno di Wimbledon nel 2011, ma questa volta la partita durò poco più di due ore e vide la facile vittoria dell’americano, ormai diventato un giocatore affermato. Lo spilungone di 2 metri e 8 centimetri è poi diventato un top-10, recitando un ruolo molto importante nel circuito almeno fino al 2018, anno in cui ha vinto il suo primo e unico Masters 1000 (Miami) e ha raggiunto la sua prima semifinale Slam, proprio a Wimbledon. Mahut, invece, non ha avuto la stessa fortuna nel singolare, ma ha vissuto una seconda giovinezza nel doppio, vincendo tutti e quattro gli Slam e le ATP Finals.
Una targa posta su un muro dell’All England Club di Wimbledon celebra la loro impresa. Recita “The Longest Match”, con i nomi dei giocatori, il punteggio e il campo in cui il match si è svolto. Non tutti possono vantare l’onore di essere celebrati al torneo più prestigioso del mondo. Isner e Mahut sì.