Gigi Simoni e Jerry Sloan sono accumunati da una triste coincidenza: entrambi ci hanno lasciato il 22 maggio del 2020. Due allenatori, due sport e due destini diversi, che nel 1998 furono avvicinati da un comune denominatore: la vittoria sfiorata.
Gigi Simoni, l’allenatore gentiluomo
26 aprile 1998, Torino. A quattro giornate dalla fine del campionato la Juventus, capolista, ospita l’Inter, che insegue a un solo punto di distanza in classifica. È il derby d’Italia, è la più classica delle partite scudetto.
Nella cornice del Delle Alpi è scontro totale: Del Piero contro Ronaldo, Lippi contro Simoni. Al 25’ della ripresa il fenomeno nerazzurro vince un contrasto aereo con Torricelli, si lancia in area insieme a Zamorano, la palla schizza tra i suoi piedi e Iuliano cerca di fermarlo con un intervento disperato. Il contatto è palese, ma il fischio di Ceccarini non arriva. È uno dei momenti più iconici e controversi del calcio moderno, un’istantanea che verrà ripresa dalla stampa di tutto il mondo e che ancora oggi segna una frattura insanabile tra le due tifoserie.
Gigi non ci sta e, furibondo, entra in campo a protestare insieme ai suoi giocatori: la prima, forse l’unica volta in cui perde il controllo, in una carriera segnata dall’eleganza e dai modi sempre misurati. L’azione prosegue con il contropiede, contrasto dubbio su Del Piero, rigore per i bianconeri. Caos generale, Simoni viene espulso. Il sogno interista si spegne tra le polemiche.
Resta il rimpianto di un’impresa sfumata, che non basta però a cancellare le tante soddisfazioni raccolte in oltre 30 anni da tecnico: dalla Coppa Uefa e la Panchina d’oro nella stagione in nerazzurro al record di promozioni in serie A, ben 7, tra cui il capolavoro con la Cremonese nel 1993. Proprio con i grigiorossi Gigi instaurerà un rapporto indimenticabile, venendo nominato “allenatore del secolo” nel centenario della squadra e diventandone presidente 11 anni dopo.
Lo scorso 22 giugno era stato ricoverato per un ictus, con cui ha lottato negli ultimi mesi. Si è spento a 81 anni all’ospedale di Pisa, tra il cordoglio della sua amata Monica e di tutto il mondo del calcio, nel giorno del decimo anniversario del Triplete nerazzurro.
Jerry Sloan, l’altro volto dell’ultimo ballo
Dall’altra parte dell’oceano, l’avventura di Jerry Sloan sulla panchina degli Utah Jazz è durata 23 anni. Tra il 1988 e il 2011 l’epopea di John Stockton e Karl Malone è passata dalla sua lavagnetta e dai giochi a due che disegnava per esaltare le doti dei suoi due giocatori simbolo. Quella squadra per due anni volò vicino al sole, eclissata sul più bello dalla stella di Michael Jordan. È sufficiente riavvolgere il nastro al 14 giugno 1998 per ricordarlo, quel tiro a scagliato dal 23 con poco più di cinque secondi sul cronometro, Bryon Russell che si sbilancia e la retina che si muove.
Le finali del 98 furono la seconda occasione in cui Jerry Sloan arrivò a un soffio dal mettersi un anello al dito. La prima andò in scena la stagione precedente, anche in quell’occasione i sogni di gloria si spensero al cospetto dei Chicago Bulls sulla via del secondo threepeat. Sottile ironia della sorte per un figlio dell’Illinois che dei tori fu bandiera da giocatore, con 696 presenze e 10.233 punti realizzati. Per due volte ai piedi dell’Olimpo NBA, sulla panchina dei Jazz Sloan ha collezionato numeri da leggenda vera, impreziositi da una minuziosa politica del lavoro, tante ore spese sul campo a migliorare la squadra e mai una parola fuori posto.
Nel 1997 John Stockton spedì i Jazz alle finali con una tripla a fil di sirena. Un canestro che scrisse la parola fine a una serie thriller disputata contro gli Houston Rockets, una battaglia a larghi tratti incerta e ricca di ribaltamenti di fronte. In quel momento venne fuori la tutta la tempra di un gruppo che con Sloan al timone era arrivato laddove a Salt Lake City non avevano mai osato sperare. Raggiungere le finali significava raccogliere i frutti di anni di lotte, sacrifici, critiche e speranze interrotte. Al termine della partita Sloan volle sottolineare proprio questo aspetto della sua missione nello Utah: «Negli ultimi anni siamo stati criticati perché incapaci di arrivare fino in fondo. Ma non abbiamo mai smesso di crederci, abbiamo continuato a lottare, abbiamo dimostrato cosa significa non arrendersi mai».
E finché ha potuto non si è arreso nemmeno di fronte alla malattia Jerry Sloan, quel morbo di Parkinson che l’ha portato via a 78 anni, lasciando indelebile il ricordo della sua carriera di hall of famer.
Uomini diversi, destini comuni
Gigi Simoni e Jerry Sloan, due allenatori che nel 1998 sfiorarono l’impresa. Con l’Inter di Ronaldo, Zamorano e Bergomi uno, con gli Utah Jazz di Stockton, Malone e Hornacek l’altro. I nerazzurri si arresero alla Juventus di Zidane e Del Piero, i Jazz si piegarono al cospetto di Michael Jordan e Scottie Pippen. L’episodio in area tra Iuliano e Ronaldo, l’ultimo canestro nella carriera a Chicago di MJ: due istantanee rimaste negli archivi dello sport e della memoria, momenti che ancora oggi generano discussioni tra gli appassionati del calcio, del basket e dello sport in generale.
La vittoria accarezzata, sfiorata e infine sfumata. Il ricordo di due uomini che oggi ci hanno lasciato con la solita compostezza, quella che ha contraddistinto gli anni vissuti da giocatori prima e allenatori poi.