Calcio, troppi stranieri
in serie A? I numeri
dicono il contrario

Una delle tesi più diffuse per spiegare l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale di Russia 2018 è stata quella secondo la quale nella nostra serie A giocherebbero troppi stranieri. Una sovrabbondanza che avrebbe precluso ai talenti italiani di potersi esprimere, con un conseguente impoverimento della rosa a disposizione della Nazionale. La pensano così, per esempio, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, che una manciata di minuti dopo il triplice fischio di San Siro su Facebook scriveva: «Troppi stranieri in campo, dalle giovanili alla Serie A, e questo è il risultato».

A ruota anche Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, che sempre sui social ha scritto: «Il fatto è che nello sport, come in ogni altro ambito, se punti tutto sugli stranieri e trascuri gli italiani, poi ne paghi le conseguenze». A Omnibus, su La7, Piero Fassino del Pd ha parlato di «calcio italiano da migliorare» e di una Germania vincente grazie allo Ius soli. Ma al di là della politica e delle strumentalizzazioni, anche tra gli addetti ai lavori l’amarezza post eliminazione si è riversata contro i “bidoni da ogni parte del mondo” che rubano il posto ai nostri ragazzi. Per esempio, lo ha scritto in un tweet il difensore del Sassuolo Paolo Cannavaro, fratello dell’ex capitano azzurro Fabio. Ma mentre infuria la discussione, potrebbe essere d’aiuto la consultazione del sito di statistiche calcistiche Transfermarkt per fare chiarezza sulla questione.

STRANIERI: SERIE A DIETRO ALLA PREMIER E PARI ALLA BUNDES. Se si prende in considerazione la percentuale di stranieri dei cinque principali campionati europei, al primo posto indiscusso c’è la Premier League inglese con il 67,2%: questo dato non ha però impedito a Harry Kane e compagni di ottenere la qualificazione al Mondiale e alla Under 20 di laurearsi campione del mondo. La Serie A, seconda, ha una percentuale di stranieri pari al 53,3%, praticamente uguale a quella della Bundesliga (52,7%), la “casa” dei campioni del mondo in carica della Germania. La Ligue 1 francese raggiunge il 49,6%, mentre la Liga è più staccata, ma con una percentuale comunque considerevole, pari al 42,8% del totale.

SERIE B: NEI TOP-5, L’ITALIA E’ QUELLA CON MENO STRANIERI. Se si scende di un gradino e si vedono le percentuali di stranieri nei campionati di seconda divisione, l’Italia con la sua Serie B si attesta a un più modesto 23,4%; La Ligue 2 francese è al 36,2%, La Liga2 al 26,7% e la 2.Bundesliga al 31%. Svetta ancora una volta su tutti la Championship inglese con il 50,3% di tesserati che non fanno parte dei sudditi di Sua maestà.

PRIMAVERE: IN ITALIA IL 30,7% DEI RAGAZZI E’ STRANIERO. Spostando l’attenzione sui settori giovanili, l’Italia conta una percentuale media di stranieri del 30,7%. La “meno italiana” è la Sampdoria con il 57,7%, seconda la Lazio con il 57,1%, quindi il Genoa con il 55,2%. Staccate Inter (35.7%), Juventus e Milan (25,8% ciascuna), ancora più indietro il Napoli (12,5%). Il Benevento ha una squadra Primavera interamente italiana e il Crotone ha il 3,3% di stranieri in rosa: sono i loro i settori giovanili più tricolori.

SETTORI GIOVANILI: PRIMA L’INGHILTERRA PER NUMERO DI STRANIERI. Oltre confine, è ancora l’Inghilterra ad avere, nel suo massimo campionato giovanile, il più alto numero di stranieri (39,4%). La Junioren League tedesca si ferma al 16,5%, ma in Germania esistono anche le squadre B, ovvero società satellite che giocano contro prime squadre delle serie inferiori (al massimo fino alla 3.Bundesliga, equivalente alla nostra serie C). Le squadre B di Bayern Monaco e Borussia Dortmund, per esempio, hanno percentuali di stranieri pari al 25 e 28%, cifre molto simili alle nostrane Milan e Juventus. Anche in Spagna esistono le squadre B che in media – considerando anche le autarchiche basche Athletic Bilbao ed Eibar – hanno il 14,6% di stranieri. In Francia, invece, la squadra B dell’Olimpique Marsiglia ha il 23,1% di non-francesi e quella del Paris Saint Germain il 13,6%.

VIVAI: IN ITALIA SOLO L’8,9% ARRIVA IN PRIMA SQUADRA. Se per numero di stranieri l’Italia è paragonabile ai principali campionati europei, quello che invece la differenzia di più è quanto vengono fatti giocare i giovani allevati nei vivai. Se da un lato è vero che negli ultimi anni si tende a investire di più nei settori giovanili – nel 2017 sono stati stanziati da tutte le squadre di A circa 105 milioni di euro – dall’altra il numero di giocatori cresciuti in casa che fanno parte della prima squadra in Italia è solo l’8,9%, al terz’ultimo posto in Europa; mentre in Inghilterra è al 10,3%, in Germania al 14,1%, in Francia al 18,1% e in Spagna al 22,8%. Lo afferma il rapporto numero 29 del novembre 2017 del Cies, centro di osservazione statistico sul calcio.

L’ITALIA: NIENTE SQUADRE B E RILUTTANZA NELL’IMPIEGO DEI GIOVANI. In tutti i principali campionati europei, tranne Italia e Inghilterra, esistono le squadre B, che possono scambiare liberamente i giocatori con la società madre durante l’anno. Giocano in campionati inferiori, com’è ovvio, e non possono disputare lo stesso torneo. Questa è un’opportunità per svezzare i giovani in campionati professionistici. In Italia non c’è niente di analogo e, per di più, permane la riluttanza a “rischiare” i propri giovani per inseguire la logica del risultato. E questo, più che l’aumento del numero di stranieri e l’internazionalizzazione del calcio che riguarda tutti i campionati quasi in egual misura, è forse il maggior problema del calcio italiano.

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