«La difficoltà maggiore sta nel reperire cibo e, in alcuni casi, acqua». A testimoniare le difficoltà di fare i conti con la strategia zero-Covid portata avanti dal governo cinese è Vittorio Franzese, avvocato italiano residente a Shanghai. «Fortunatamente – continua Franzese – è rimasto ancora qualche corriere che recupera abusivamente degli alimenti stoccati in magazzino. Tramite chat i residenti di uno stesso palazzo organizzano dei gruppi d’acquisto. Ma in una città di 26 milioni di persone, i pochi distributori di cibo sono presi d’assalto, e capita spesso che la gente si svegli alle 4 del mattino per accaparrarsi un ordine». Chi non comprende bene la lingua cinese o non capisce la dinamica dei gruppi d’acquisto, inoltre, si trova costretto a dover razionare gli alimenti.
L’andamento dei casi
Negli scorsi giorni, c’è stato un aumento rilevante di casi positivi: nelle ultime 24 ore, Shanghai ha registrato quasi 5000 nuovi casi e 13 decessi. Questa ondata di contagi a Shanghai è la crisi sanitaria più grande per il governo cinese dai tempi di Wuhan.
Il 22 aprile è cominciata una nuova campagna per contenere la trasmissione nelle comunità locali della variante Omicron. L’amministrazione ha allestito recinzioni e reti all’esterno degli edifici a insaputa dei residenti. Lo scopo è ridurre i movimenti della popolazione ed evitare che il virus circoli ulteriormente. Le persone in queste aree sigillate non possono uscire di casa per nessun motivo, sia che siano positive che negative. Ma le reti hanno reso più complicata la distribuzione di cibo da parte dei fattorini. Nella giornata del 26 aprile sono terminati i test di massa sulla popolazione per capire meglio cosa potrebbe succedere nel prossimo mese: il lockdown totale attivo dal 28 marzo scorso, verrà confermato?
L’allarme Covid è arrivato anche a Pechino, dove il focolaio più importante è stato in una scuola media di Chaoyang: tutte le persone che risiedono nel distretto sono state sottoposte, anche qui, a test di massa, somministrati a 3,5 milioni di residenti in quell’area. Pechino aveva adottato un iniziale piano di contenimento con test dell’acido nucleico, sospensione delle lezioni e blocco dei cantieri.
La testimonianza
«La parte est di Shanghai è in lockdown dal 27 marzo, ma tanti complessi residenziali lo erano da prima. Molte persone si sono trovate costrette a vivere dentro i loro uffici», spiega Franzese. «Per chi si trova nel palazzo di un soggetto positivo, scatta una quarantena di almeno 14 giorni. Il meccanismo procede a oltranza per ogni nuovo caso».
Le rigide regole anti-Covid messe in atto dal governo cinese hanno fermato la città: i negozi sono chiusi e i quartieri residenziali sono strettamente sorvegliati dalla polizia e dai volontari. La strategia messa in atto per arginare i casi sta causando anche stress fisico e psicologico nella popolazione: la maggior parte degli abitanti di Shanghai vive in appartamenti di piccole dimensioni e l’impossibilità di uscire crea un grande senso di oppressione. «Ci sono stati anche casi di suicidio, ne ho sentiti tanti. Anche perché c’è molta incertezza sulle prossime settimane», commenta Franzese.
Le proteste
La gestione del governo ha causato anche molte proteste. Alcuni video, aggirando la censura del Great Firewall cinese, sono apparsi nelle piattaforme occidentali come Google, YouTube e Instagram. «È la prima volta che vedo qualcosa del genere da quando vivo in Cina. Credo che in alcune parti della città si continui ancora a protestare. Molti cinesi hanno smesso di fidarsi del governo», sottolinea Franzese, che vive in Cina da otto anni. A pesare sono anche i metodi di sorveglianza, che a volte risultano repressivi: all’inizio dell’emergenza alcuni volontari hanno abbattuto gli animali domestici di chi risultava positivo.
Un ulteriore motivo di scontento sono i centri di quarantena che ospitano chi ha contratto la Covid-19: «Sono grossi padiglioni dove le persone positive vengono ammassate insieme a chi è risultato a contatto. Le condizioni igieniche sono precarie, c’è urina ovunque e i letti sono posizionati persino nei corridoi vicino ai bagni. Manca anche qualunque forma di assistenza medica, le persone sono lasciate a se stesse», racconta Franzese, riportando l’esperienza di alcuni amici.
«Se risultassi positivo sarei molto preoccupato: non per il virus in sé, ma per le condizioni di questi centri. Inoltre adesso si può andare in ospedale solo per Covid, quindi spero di non ammalarmi perché se avessi qualche patologia non avrei accesso alle cure».