Più di tre mesi di agitazione, almeno 30 scuole occupate a un ritmo di 2-3 a settimana, picchetti, assemblee e svariate azioni dimostrative. Il movimento studentesco rinasce a Milano, in una staffetta che è partita dal liceo classico Manzoni e, senza pause, ha coinvolto anche scuole professionali e licei meno avvezzi alla protesta. A scatenare questa nuova ondata di attivismo un disagio generale, esasperato dalla pandemia e dalla guerra in corso. Il rientro in classe, dopo tanti mesi di didattica a distanza, ha reso più evidenti le lacune del sistema scolastico e ha spinto molti studenti a canalizzare quella frustrazione, quella rabbia e il senso di rivalsa in una mobilitazione trasversale, che sposa le battaglie di movimenti come Fridays forfuture e Non una di meno, parte dalla scuola per arrivare alla società intera.
«È NECESSARIO UN CAMBIAMENTO, OCCUPIAMOCENE NOI»
«Nel’68 abbiamo cambiato radicalmente la didattica. Anche oggi dobbiamo lavorare su quello», queste le parole del dirigente scolastico del liceo Carducci, Andrea Di Mario. Un giorno i suoi studenti si sono presentati nel suo ufficio con una lettera in mano: «Il governo ha dimostrato che l’istruzione non è una priorità dello Stato. La scuola è stata dimenticata, abbandonata da ciò che si potrebbe riassumere con inefficienza e negligenza da parte delle istituzioni. Al nostro rientro, l’ambiente scolastico ci si è presentato come un luogo di apprendimento passivo e come fonte primaria di ansie e problemi psicologici»: inizia così la lettera di richieste avanzate al preside dagli studenti del liceo classico Carducci. Problemi che anche gli altri istituti occupati hanno evidenziato. La salute mentale è la più importante delle rivendicazioni: dopo due anni di pandemia e didattica a distanza, il disagio psicologico vissuto sta venendo fuori. «Alle radici di questo malessere ci sono un sistema e una cultura che mettono grandissima pressione sull’individuo e sulla prestazione», continua la lettera. Gli studenti chiedono più fondi «che superino la cifra di 20 milioni recentemente stanziati». Nella Dad tutti i problemi sono venuti fuori, in primis la disparità tra chi aveva o meno gli strumenti tecnologici.
Altri temi, su cui hanno a lungo dibattuto, sono stati la volontà di fermare la corsa al riarmo per la guerra in Ucraina e la necessità di avere risorse per l’edilizia scolastica e la sicurezza. A quest’ultima i ragazzi si sono ricollegati con il tema della revisione dell’alternanza scuola-lavoro, oggi Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. È stato introdotto il “curriculum dello studente”, uno strumento che dovrebbe aiutare le aziende a selezionare gli alunni e che richiede certificazioni linguistiche e attività extra scolastiche: «Si viene a creare un divario tra chi può permettersi economicamente queste attività e chi no e si fa credere allo studente che la cosa più importante siano i crediti da mettere nel curriculum, introducendoli alla mentalità performativa del mondo del lavoro». È da rivedere, secondo i manifestanti, anche il sistema di valutazione, che si basa sui concetti di premio/punizione: «È lo stesso sistema utilizzato per addestrare gli animali e genera individui concentrati sul risultato e incuranti del processo».
LE NUOVE AZIONI DEGLI STUDENTI CONTRO UN VECCHIO SISTEMA
«Mi ricordo bene la scena di noi all’ingresso con il rettore e una schiera di professori che guardavano chi entrava in classe e chi no. Un sacco di gente ha ceduto perché i professori gli dicevano “filate in classe!”», così Maya ricorda il suo primo giorno di sciopero all’Educandato Statale Emanuela Setti Carraro dalla Chiesa. L’occupazione, partita subito dopo, era la prima nella storia della sua scuola. Maya pensa di essere una privilegiata perché nella sua scuola «il tetto non crolla in testa» e vede la sua partecipazione alle varie iniziative come un atto di solidarietà verso quelli meno fortunati.
Il sentimento di cui parla potrebbe essere la chiave che ha reso possibile una staffetta di occupazioni, in grado di coinvolgere istituti con problematiche e punti di partenza molto diversi tra loro. Tutti gli studenti erano uniti dalla necessità di riformare il sistema scolastico, percepito come obsoleto, e dal bisogno di essere protagonisti del dibattito intorno all’educazione. Nella maggior parte delle scuole sono nati nuovi collettivi: al Carducci “Mille papaveri rossi”, il “Volta” all’omonimo liceo, “Ombre rosse” al Leonardo da Vinci. Altri gruppi fanno riferimento direttamente all’Unione degli Studenti (Uds), a Rete Studenti, a Opposizione studentesca d’alternativa e al Coordinamento dei collettivi. «Quest’anno si è voluto organizzare qualcosa insieme, per andare oltre le singole situazioni», spiega Giulia, attivista di Uds. Secondo la studentessa, la rinascita del movimento è legata proprio a questa nuova capacità di dialogo tra le varie realtà. I problemi sollevati da ogni singola scuola sono stati oggetto di riflessione di assemblee e tavoli di lavoro, che dopo aver raccolto le idee, proponevano le azioni da compiere e coordinavano tutti gli altri studenti. «In ogni struttura scolastica coinvolta abbiamo organizzato 3-4-5 giorni di occupazione per volta, dormendo nelle scuole, parlando con dirigenti e professori, per far sì che la protesta fosse di tutta la comunità educante e per portare avanti un modello educativo diverso», aggiunge Giulia. Non sempre, però, questo incontro tra docenti e allievi è stato possibile. Luca, attivista del liceo Einstein, ricorda che «la “Primo Levi”, di San Donato Milanese, è stata la prima scuola in provincia a occupare e in quei giorni gli studenti hanno vissuto una vera repressione da parte del preside, che ha chiamato i carabinieri. Alcuni di loro sono stati pure fermati dagli agenti».
Nonostante le difficoltà, alcuni obiettivi sono stati raggiunti, come per esempio, la possibilità di ripristinare i momenti assembleari, che erano stati sospesi a causa del Covid-19. Per gli attivisti della rete, però, rimane ancora problematica la questione psicologica. Gli sportelli di supporto, dove c’erano, non sono stati mantenuti aperti neppure a distanza e in molte scuole rimangono del tutto assenti. «Gli studenti erano lasciati a loro stessi e la prima conseguenza è stata l’aumento del tasso di abbandono scolastico», sottolinea Giulia. Non a caso, una delle prime iniziative dei collettivi è stata quella di sottoporre un questionario a tutti gli studenti per raccogliere informazioni sulla loro condizione psichica. Al liceo Carducci, per esempio, su un campione di 460 studenti, il 76,1% ha sofferto di attacchi di panico o ha avuto difficoltà a gestire le proprie emozioni. Ansia, depressione e autolesionismo sono i segnali più evidenti del malessere diffuso, che il sondaggio ha messo in luce.
DA DIETRO LA CATTEDRA: L’OPINIONE DEGLI EDUCATORI
Secondo il preside del liceo Carducci, Di Mario, quello che accomuna questo periodo storico all’epoca delle grandi proteste della sua giovinezza è un profondo cambiamento all’interno della società, che non sempre la scuola riesce a intercettare. «Sono favorevole alla protesta, le rivendicazioni sono legittime», chiarisce Di Mario, aggiungendo che tra quelle più condivisibili, c’è la questione del disagio psicologico.
Lo psicologo Luca Milanese tiene lezioni di educazione all’affettività nei licei. Ne ha tenuta una al Carducci, proprio il giorno prima che iniziasse l’occupazione. «I bisogni che portano a manifestare di sicuro ci sono e sono forti. Non credo che l’occupazione sia un pretesto per non andare a scuola», sostiene l’esperto. Milanese interpreta il fenomeno in corso: «Gli studenti che per due anni si sono incontrati solo attraverso uno schermo e che poi si sono trovati a rivedere le stesse persone in presenza, hanno dovuto colmare una certa distanza». Lo psicologo spiega, infatti, che l’assenza di relazione fisica causa una diversa percezione degli altri e questo può mettere molto in soggezione alcuni ragazzi nel momento in cui si torna in presenza.
Dietro la cattedra, ma dalla parte degli studenti, anche il preside del liceo Volta, Domenico Squillace: «L’anno scorso è stato il peggiore», dice riferendosi al 2021. In quel periodo, racconta, i ragazzi andavano ogni mattina alle 8 davanti al palazzo della Regione Lombardia, seduti per terra con i sacchi a pelo e i tablet per fare lezione in Dad. Volevano che riaprissero le scuole. «Quando i ragazzi sono rientrati, venivano trattati come se fossero stati in vacanza, massacrati di verifiche e interrogazioni. Volevano studiare, ma volevano anche che i docenti gli chiedessero “come stai?”. Il danno maggiore che hanno subito questi ragazzi è stato il fatto che abbiano avuto un ritardo di sviluppo di due anni». Quella del Volta è stata un’occupazione “dura”. «I primi due giorni non hanno permesso di entrare né a me né ai professori, poi per fortuna c’è stato più dialogo», conclude il dirigente scolastico. I suoi studenti si sono riappropriati degli spazi che «rendono la scuola un luogo di aggregazione dove si cresce insieme». Hanno riaperto la palestra, riattivato il corso di fotografia e di teatro, ripristinato le assemblee pomeridiane e persino reinstallato i distributori automatici.
Tra i sostenitori più entusiasti della rivolta, il professor Saverio Mauro Tassi, docente di filosofia del liceo Einstein, che ha partecipato all’occupazione della sua scuola. Con i collettivi ha parlato di diseducazione e diseguaglianze. «Quando la legge stabiliva che con due studenti positivi in classe anche altri fossero “condaddati” alla didattica a distanza, io facevo gli scioperi bianchi. Entravo in classe senza fare lezione. Ero un obiettore di coscienza in nome del principio costituzionale dell’uguaglianza e del diritto allo studio». Tassi nel 2020 ha protestato con gli studenti per la riapertura delle scuole e nel febbraio 2021, da solo con la sua tenda, ha occupato l’istituto per un giorno e una notte. Rappresenta un caso isolato nel corpo dei 100 docenti della sua scuola, tra cui solo 3 o 4 mostravano la loro solidarietà.
In conclusione, quello che emerge dalle parole degli studenti è il desiderio di una didattica inclusiva, transfemminista, ecologista, antifascista, antimafia, che sviluppi il pensiero critico e che fornisca gli strumenti per diventare i cittadini di domani. I ragazzi hanno fatto la loro parte, sollevando le questioni urgenti e presentandole alle istituzioni politiche e a quelle scolastiche. Adesso sta a loro rispondere.