Un ‘codista’ col sogno di fare il sindaco a Milano. La storia è quella di Giovanni Cafaro, l’uomo che nel 2014, dopo aver perso il lavoro, ha deciso di inventarne uno nuovo: fare la fila e sbrigare faccende per gli altri. Ma ora che ha scelto di candidarsi alle prossime comunali previste in primavera, guai a non prenderlo sul serio. Cafaro sembra infatti una persona che sa quello che fa.
Una vita, la sua, passata tra varie battaglie, al fianco soprattutto dei disabili. Rimasto poi disoccupato, arriva l’intuizione: «So che è strano, ma amavo fare le code. E mi sono detto: perché non farne un mestiere?». Da quel giorno ne sono cambiate di cose. Restare in attesa del turno di qualcun altro alla posta è ora un impiego a tutti gli effetti: «E questo grazie anche a uno specifico contratto nazionale che siamo riusciti a introdurre. Da nord a sud, oggi si contano oltre 800 codisti in Italia. Una cosa di cui vado orgoglioso».
QUALCHE SUGGERIMENTO PER SNELLIRE LA BUROCRAZIA LO AVRA’ IN MENTE ALLORA…
«Eliminarla è impossibile. In questi anni però, mi sono reso conto che c’è un problema nella formazione di dipendenti e dirigenti, soprattutto sull’utilizzo delle nuove tecnologie. E spesso manca la comunicazione tra uffici diversi. Anche richieste banali diventano operazioni complicate».
COSA L’HA SPINTA A CANDIDARSI A SINDACO?
«Sono stufo di ricevere le solite pacche sulle spalle. Negli ultimi anni ho portato avanti molte iniziative. Qualcosa sono riuscito a smuovere ma la maggior parte delle volte sono andato a sbattere contro dei muri. Per cambiare le cose devo provare a farlo dall’interno. Proprio per questo lo scorso giugno ho deciso di creare a Milano la mia lista ‘Movimentiamoci insieme’».
UNA DI QUETE BATTAGLIE RIGUARDA I DISABILI E IL MONDO DEL LAVORO.
«Quando si parla di assunzioni in Italia, c’è troppa reticenza. Nonostante gli obblighi previsti dalla legge, le aziende e gli enti pubblici preferiscono non assumere persone diversamente abili. Applicando le giuste sanzioni, potremmo utilizzare i soldi incassati per creare fino a 200.000 posti di lavoro a costo zero, da destinare non solo ai disabili, ma anche a tutti coloro che hanno perso la propria occupazione o chiuso un’attività. Parliamo di dipendenti, ristoratori, commercianti. Non credo ci sia un altro candidato sindaco che possa fare una cosa del genere. Secondo una stima, Regione Lombardia potrebbe ricavare annualmente con le multe circa 2 miliardi di euro. Anche il Comune di Milano è obbligato ad assumere una certa quota di disabili…».
E LEI E’ SICURO CHE NON LO FA?
«Tra Palazzo Marino e tutti gli uffici comunali, secondo i miei calcoli, dovrebbero esserci 14182 dipendenti. Per legge, il 7% di questi posti (1133, ndr) spetterebbe a persone diversamente abili. Non avendo a disposizione dati ufficiali, ho scritto al Sindaco Beppe Sala, che non mi ha mai fornito una risposta. Eppure basterebbe chiedere al Direttore del personale del Comune».
A SETTEMBRE, DURANTE UNA MANIFESTAZIONE, AVEVA CHIESTO LE DIMISSIONI DI SIMONE DRAGONE, PRESIDENTE DI MM S.p.A. COSA NON LA CONVINCEVA?
«Mi riferivo in particolare alla gestione delle case popolari. Molte di queste sono disabitate senza possibilità di assegnarle, nonostante le tante richieste. Da Quarto Oggiaro a Via Lopez poi, ci sono strutture fatiscenti che cadono a pezzi. In alcuni condomini non c’è nemmeno un sistema antincendio. Situazioni gravi di abbandono, trascuratezza e malagestione. Chi ci vive, paga MM (l’azienda che a Milano si occupa del sistema idrico, della gestione del patrimonio immobiliare e dei trasporti, ndr) senza ricevere servizi adeguati».
Alcune foto scattate da Giovanni Cafaro durante le sue visite in periferia
E DEI CINQUE ANNI DEL SINDACO SALA COSA NE PENSA?
«Non sono contento del suo operato, come molti cittadini, che lo definiscono il ‘sindaco invisibile’. L’emergenza sanitaria non era una situazione semplice da gestire, ma non è stata affrontata nel modo corretto. Sala ha pensato solo al centro della città senza mai farsi vedere nei quartieri e nelle periferie. E poi, Milano non è Amsterdam…».
IN CHE SENSO?
«Le piste ciclabili vanno bene, ma devono essere fatte nelle carreggiate opportune. Quelle di viale Monza, corso Buenos Aires e viale Tunisia ad esempio, non sono state realizzate con criterio. Non solo intralciano il traffico, ma rischiano anche, come già successo, di provocare incidenti. Le ciclabili non si disegnano a terra con una striscia bianca: io sono favorevole a farne anche di più, ma devono garantire sicurezza per i ciclisti e non intaccare il flusso di auto».
L’AMMINISTRAZIONE PERO’, HA PUNTATO MOLTO SULLA MOBILITA’. L’OPERATO DELL’ASSESSORE MARCO GRANELLI PER LEI NON E’ SODDISFACENTE?
«Fosse per me, innanzitutto eliminerei qualsiasi tassa di ingresso a Milano, abolendo sia Area B sia Area C. Pagare per inquinare non lo trovo corretto. E non sono d’accordo nemmeno i molti residenti del centro, che magari sono costretti a comprare 40 ingressi di Ztl solo per rientrare a casa. Invece di dare soldi per i monopattini, che circolano senza nessuna regolamentazione, potenziamo la rete dei mezzi pubblici. E non mi piace nemmeno il divieto di fumo, ci sono cose più importanti».
MI SCUSI, MA IL DISCORSO AMBIENTALE COSI’ CHE FINE FA?
«Le persone vanno sensibilizzate a non usare l’automobile e a sfruttare i trasporti pubblici. Spesso è anche un fatto culturale o di pigrizia: si preferisce la comodità della macchina. A maggior ragione in un periodo come questo, dove la gente ha avuto paura a spostarsi in metro o in tram. Una Milano sempre più green va bene, ma il verde va curato. Alcuni parchi non sono gestiti in maniera ottimale».
MILANO E’ UNA CITTA’ SICURA?
«Sì, ma viene percepita come insicura. La presenza di un vigile di quartiere in alcune situazioni può fungere da deterrente. Gestire il flusso migratorio non è facile ma serve più impegno. Ci sono tantissime ex aree industriali abbandonate e dismesse, che si potrebbero recuperare e far gestire dai privati. Se guardiamo ad esempio al Centro di permanenza per rimpatri di Via Corelli, ci rendiamo conto non è umano far convivere tutte quelle persone. Servono spazi pronti da recuperare proprio per evitare questo sovraffollamento, ma non solo. Ci sono tantissime donne, spesso mamme, che subiscono violenze dai loro mariti e non sanno dove andare. Nuove strutture potrebbero servire anche ad accogliere queste donne che vogliono ripartire e rifarsi una vita. Non dobbiamo assegnarle solo alle fondazioni, ma anche a cittadini che non hanno la possibilità di pagarsi un affitto. A Milano in molti vivono bene, ma c’è anche tantissima povertà».
COME PROCEDE CON LA CREAZIONE DELLA LISTA? HA TROVATO GLI ASPIRANTI CONSIGLIERI COMUNALI?
«Abbiamo già superato il numero minimo di candidati (32, ndr). Si sono messe a disposizione circa quaranta persone, prevalentemente donne. Niente politici però, tutte figure della società civile. A breve presenterò la lista in un evento pubblico. Intorno a me, quando giro nei quartieri o ascolto le associazioni, vedo tanto entusiasmo. Siamo liberi, senza vincoli, e questo è fondamentale».
IL SUO REALE OBIETTIVO QUAL E’?
«Fare il sindaco. Non è impossibile, mi creda. La gente è stanca della solita politica dove vanno avanti solo gli amici degli amici. Posso dire che lotterò fino all’ultimo secondo di campagna elettorale, ma pensare al ballottaggio ora non ha senso. Mi ritengo una persona moderata: non sto né a destra né a sinistra, mi colloco piuttosto al centro. E sogno una giunta tutta al femminile. Con un’unica eccezione…».
QUALE?
«Ho proposto a Bansky (il misterioso artista, ndr) di venire a Milano per un nuovo assessorato: quello alla street art. Un modello come lui sarebbe importante per i nostri giovani, in una città che punta molto su varie forme artistiche».
RINTRACCIARLO PERO’, NON E’ PER NULLA SEMPLICE…
«So che è di Bristol e che mantiene la sua identità segreta. Il mio è solo un appello, al quale Bansky non ha ancora risposto». E chissà se lo farà mai…