David Matheson, mormone originario dello Utah, ha fatto coming out, dichiarandosi attratto dagli uomini e divorziando dalla moglie. Niente di strano, se non fosse che Matheson è l’ideatore delle terapie di conversione per omosessuali. Tramite un post sul suo profilo Facebook, il mormone ha annunciato la fine del suo matrimonio ultratrentennale e la sua svolta sentimentale, scusandosi con quanti sono rimasti feriti dal “sistema omofobico, basato sulla vergogna” veicolato dalle terapie riparative da lui create e sostenute. Matheson non ha rinnegato completamente il suo operato, ma ne ha parzialmente riconosciuto gli effetti negativi.
Negli ultimi decenni i corsi per correggere l’orientamento sessuale sono diventati una realtà diffusa negli Stati Uniti. A proporre le terapie di conversione non erano soltanto i mormoni, ma diverse chiese e gruppi religiosi, così come psicologi e professionisti della salute mentale. Un fenomeno raccontato anche dalla letteratura e dal cinema degli ultimi anni, come il libro “The Miseducation of Cameron Post”, riadattato cinematograficamente e uscito nel 2018, o “Boy Erased: A Memoir”, biografia di Garrard Conley, costretto dai genitori a sottoporsi a questi trattamenti, diventato un film con Nicole Kidman. La distribuzione di questi prodotti, frutto di esperienze reali e concrete, ha contribuito a portare al centro del dibattito mondiale questo tema, con alcune importanti ripercussioni. Tra il 2013 e il 2018, infatti, 15 stati degli Usa, compreso il District of Columbia, hanno proibito le terapie riparative da parte di operatori sanitari.
Questo vale per psicologi e psichiatri, ma non per i gruppi religiosi. Tra questi vi è Courage International, apostolato fondato nel 1980 negli Stati Uniti dal cardinale di New York Terence Cooke, il pastore John Harvey Osfs e il reverendo Benedict Groeschele. Il gruppo religioso ha poi creato delle “succursali” fuori dal territorio statunitense, arrivando fino in Italia, dove è presente in cinque città italiane, tra cui Milano.
«Compra “Perché non mi definisco gay” di Daniel Mattson e leggitelo. Poi ti suggerisco di fare un giro con un terapeuta, un incontro conoscitivo insomma, e vedi se c’è bisogno di un accompagnamento ulteriore. Non è che sei matto, ma hai bisogno di supporto». Questo è quello che Alberto, un operatore del gruppo religioso Courage Italia ha detto a Maria (nome di fantasia), una ragazza omosessuale che si è rivolta loro per trovare supporto. Il fatto è che questo apostolato ha una visione ben precisa (e spesso contraddittoria) dell’omosessualità e di come “trattarla”. Trattare, sì, perché nonostante Courage Italia non definisca mai esplicitamente l’attrazione per lo stesso sesso una malattia mentale – accostamento di concetti bandito dal 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie – quello che presenta è un programma e un metodo per arginare la tendenza nelle persone che vi si rivolgono per ricevere aiuto.
Per Courage, come ribadisce l’operatore al telefono con Maria, le persone omosessuali non sono sbagliate, non hanno colpe o responsabilità morali, ma non devono dare seguito alle loro tendenze e desideri. L’attrazione per lo stesso sesso «di per sé non è cosa buona, ma non è imputabile alla persona» dice il volontario a Maria, e, per spiegarsi meglio, aggiunge che essere omosessuali è una tendenza come un’altra, come quella di arrabbiarsi se si guida nel traffico: l’ago della bilancia è rappresentato dal dare o non dare seguito a questi impulsi. «Se mi arrabbio quando guido nel traffico», conclude Alberto, «non è che poi investo i pedoni sulle strisce, perché in quel caso sarei colpevole».
Colpevole, certo. Perché per Courage l’unico modo che un omosessuale ha per condurre una vita corretta è praticare la castità. Non dare sfogo a questi impulsi, non intrecciare rapporti con la comunità LGBT, negare persino i sentimenti, in attesa che si rimpiccioliscano fino a scomparire (o quasi). E così l’apostolato – che ha ricevuto l’approvazione dalla Santa Sede nel 1994 – ha una dottrina da seguire, un metodo da praticare, per permettere agli omosessuali di controllare la propria sessualità. A spiccare sono i “12 passi”, una serie di norme copiate dalle 12 regole degli alcolisti anonimi, che, come evidenziato dalla dicitura che li accompagna, sono parte integrante degli incontri di Courage. Quindi per gli operatori del gruppo religioso gli omosessuali sono paragonabili agli alcolisti? A negarlo, con un tentativo che pare più una frase di circostanza che una reale convinzione, è lo stesso apostolato, che specifica: «Non si deve presumere che Courage, per il fatto stesso di utilizzare i 12 passi, un metodo utile per tutti coloro che hanno a che fare con una dipendenza, ritenga che tutte le persone attratte dallo stesso sesso siano alle prese con una dipendenza».
Tra le altre proposte che il gruppo religioso mette in campo nella lotta all’omosessualità, ci sono libri, la comunione delle menti durante gli incontri “fisici”, ma non solo: si spazia dalle ListServ, nient’altro che gruppi di condivisione tramite email, alla possibilità di ascoltare le riunioni di Courage negli Stati Uniti ai forum rivolti ai giovani. Insomma, apparentemente ci sono mille modi per rivolgersi a Courage. In realtà entrare in contatto con loro è molto più difficile di quanto traspare dal loro sito online. Del gruppo si sa che a Milano collabora con la Diocesi, ma i membri sono arrivati autonomamente alcuni anni fa: il Vescovo non li ha invitati (come accade normalmente per gli apostolati), ma i parroci non disdegnano il loro operato. Gli incontri di Courage vengono organizzati ogni volta in una chiesa diversa, come conferma la Diocesi di Milano, e spesso operano insieme ad altri enti, come l’ATC (Associazione Terapisti Cattolici), anch’essi poco inclini a dialogare con l’esterno. Il timore di una persecuzione da parte della società è dietro l’angolo, e a riassumere al meglio questo concetto è la risposta di un associato di ATC: «La “caccia alle streghe” agli psicoterapeuti cattolici è già in atto da molto tempo e per questo la prudenza non deve essere scambiata come un atto di scortesia».