Bandiere etiopi ed eritree sfilano insieme per le vie milanesi. Uomini, donne e anche bambini tengono in mano cartelloni colorati dove campeggia l’hashtag #NOMORE e la scritta “Stop Fake News on Ethiopia”.
L’Associazione della comunità etiope in Lombardia scende in piazza a Milano, davanti alla sede Rai di Corso Sempione, per denunciare quella che a suo avviso è una narrazione distorta dei media italiani e internazionali del conflitto civile in corso in Etiopia.
“Mandate degli inviati in Etiopia, perché l’informazione riguardo alla guerra civile si sta basando su notizie non verificate, troppo spesso influenzate dalla linea politica del Tplf”, dice Romeo Spina, membro del direttivo della Comunità Etiope in Lombardia.
La situazione in Etiopia
La guerra civile è scoppiata un anno fa, quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed, al potere dal 2018 e vincitore del premio Nobel per la Pace nel 2019, ha deciso di reprimere l’iniziativa dei ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) contro il potere centrale.
Quello che doveva essere un rapido intervento militare, tuttavia, si è trasformato in un conflitto civile che va avanti da novembre 2020 e che sta mettendo in estrema difficoltà il potere di Abiy Ahmed.
Tra fine ottobre e novembre 2021, infatti, il Tplf si è alleato con l’Esercito di liberazione oromo (Ola) e con altri 8 gruppi armati etiopi, dichiarando di aver conquistato due città strategiche e di essere sempre più vicino alla capitale etiope Addis Abeba.
Abiy Ahmed ha reagito all’avanzata del fronte tigrino invitando la popolazione di Addis Abeba a scendere in piazza e arrivando perfino a istigare alla violenza. Man mano che il fronte ribelle avanza, la repressione della popolazione tigrina si fa sempre più spietata: secondo alcune associazioni umanitarie, dall’inizio del conflitto migliaia di tigrini sarebbero stati arrestati e detenuti solo per la loro appartenenza etnica.
Perché protesta la comunità etiope in Italia?
La protesta del 27 novembre da parte della Comunità Etiope in Lombardia si svolge davanti alla sede Rai di Corso Sempione a Milano per un motivo preciso: secondo l’associazione, infatti, i media non stanno raccontando correttamente il conflitto civile perché si concentrano esclusivamente sulla repressione subita dai ribelli tigrini, ignorandone la sua responsabilità nella gestione del conflitto.
Il Tplf infatti non è solo un fronte ribelle, ma è un gruppo politico che in passato ha dominato l’Etiopia per quasi trent’anni. Secondo i dimostranti, il Tplf ha almeno due responsabilità pesanti nell’escalation del conflitto: da una parte in passato ha deciso di dividere l’Etiopia in regioni create su base etnica, una scelta che sarebbe all’origine dell’instabilità di oggi; dall’altra sarebbe proprio il Tplf ad aver cominciato il conflitto attaccando a tradimento l’esercito federale presente nella regione del Tigray.
Il Tplf nasce a metà degli anni ‘70 come milizia dei tigrini, che rappresentano all’incirca il 7% della popolazione etiope. Nonostante sia in minoranza, riesce a diventare un gruppo ribelle molto potente tanto
che nel 1991 fa cadere il governo e sale al potere. Se a livello internazionale riesce a garantire un’immagine di stabilità, al suo interno reprime qualunque forma di dissenso politico, limitando la libertà di espressione e arrivando a torturare gli oppositori nei centri di detenzione.
La protesta della comunità etiope in Lombardia vuole inquadrare il conflitto civile nel modo più corretto possibile, mettendo in luce le violenze e gli omicidi di massa che il Tplf sta commettendo nella regione nordoccidentale del Tigray. Perché, al di là degli schieramenti, a pagare il prezzo più alto di questo conflitto è la popolazione comune, come testimonia il gran numero di vittime civili.
A cura di: Valeriano Musiu